Regia di Luciano Emmer vedi scheda film
Ambizioso prodotto di un Emmer quasi novantenne: c'è solo da imparare da un artista (artigiano forse è termine qui più adatto) che fino ai suoi ultimi giorni ha continuato a perfezionare le proprie ricerche e ad avere voglia di creare, incantare, scoprire, come dimostra appunto questo Le fiamme del paradiso. Ovvio, nel titolo, il riferimento all'inquisizione e alle torture cui venivano sottoposti eretici e streghe da una Chiesa sempre meno misericordiosa e sempre più intollerante; lo stile visivo di Emmer si conferma prettamente impostato su canoni pittorici (fotografia di Ugo Lo Pinto) e la produzione Rai garantisce un budget più che dignitoso che permette al lavoro di riuscire compiuto anche dal punto di vista formale (inevitabili, peraltro, le reminiscenze del Dies irae di Dreyer). Ma chiaramente non c'è solo l'immagine: Le fiamme del paradiso - oltre alla parabola sull'intolleranza e la cecità dell'uomo di fronte alla carità verso il suo prossimo - è anche uno strumento con cui il regista ripercorre la storia della Val di Non (e, si presume, per traslazione di tutta l'Italia rurale) di alcuni secoli fa; in tal senso vengono costruiti dialoghi (una buona metà del totale del film) in dialetto locale molto stretto, reso comprensibile al pubblico solamente tramite sottotitoli in italiano. Gli attori sono tutti sconosciuti, ma la prova di recitazione è positiva; sceneggiatura scritta dallo stesso Emmer, sobrie le musiche di Stelvio Cipriani. 6,5/10.
Fine Seicento, Val di Non (Trentino): una contadina che vive da sola e cura i compaesani con le erbe e il latte della sua capra, viene accusata di stregoneria.
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