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Non aprite quella porta. L'inizio

Regia di Jonathan Liebesman vedi scheda film

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Raffaele92

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Non aprite quella porta. L'inizio

di Raffaele92
8 stelle

Un horror meraviglioso, il migliore della saga dopo l’originale e questo perché (oltre ai vari pregi che menzionerò a seguito) è l’unico oltre a quello del 1974 a celare riflessioni politiche non superficiali sulla guerra in Vietnam (il film in analisi è ambientato nel 1969). I due fratelli protagonisti sono infatti stati chiamati a combattere, ma il presunto “disertore” verrà torturato e calpestato come il peggiore dei vigliacchi proprio (sublime colpo di genio) da Ronald Lee Ermey, il sergente Hartman di “Full Metal Jacket”, personaggio del quale questo di “Non aprite quella porta – l’inizio” (così come anche del film del 2003) è una sorta di sosia, una replica. Quasi come se l’avessero tirato fuori dal film di Kubrick e collocato qui, in un altro inferno: il Vietnam come il Texas, le cui zone rurali e assolate nascondono nuclei familiari malati, simbolo di una società marcia, perversa, deviata, figlia di un’epoca buia.

Per l’immensa gioia dei fan, poi, la pellicola ripercorre diligentemente le tappe della formazione di “faccia di cuoio” (scioccante l’incipit del parto).

Per il resto, l’horror fa il suo sacrosanto dovere e dà luce a un film crudo fino ai limiti del sopportabile, un tripudio di sangue e splatter come Dio comanda.

Su tutto vi è un’atmosfera putrida (creata superbamente dalla fotografia e dai cromatismi) dove si “respirano” marciume, sporcizia e depravazione dall’inizio alla fine, una vera e propria discesa all’inferno.

Come ai bei vecchi tempi, “Leatherface” impugna la motosega e si lancia all’inseguimento della final girl, che a differenza della quasi totalità degli horror di allora come di oggi, stavolta non si salva. Perché il Vietnam potrà anche avere i suoi (pochi) reduci, ma il Male (quello più puro, totale e ancestrale, quello cieco, sordo, che non vede ragioni e non ascolta suppliche né preghiere) non lascia superstiti.

Ci si chiede solo come mai il buon Jonathan Liebesman non abbia proseguito la strada dell’horror (iniziata con l’ottimo esordio “Al calare delle tenebre”) e si sia invece perso in mediocrità come “World Invasion” (2011) o blockbuster senza infamia e senza lode come “La furia dei titani” (2012).

Uno dei migliori horror del nuovo millennio.

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