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Non aprite quella porta. L'inizio

Regia di Jonathan Liebesman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Non aprite quella porta. L'inizio

di DeathCross
6 stelle

Prequel del mediocre (assai) remake nispeliano del Capolavoro hooperiano, anche questo è prodotto dalla platinum dunes di bay. E l'influenza nefasta del sedicente 'regista' (???) e produttore (uno dei responsabili maggiori della recente ondata di blockbuster senz'anima) si avverte anche qui in diversi elementi.

Innanzitutto la ricostruzione dell'atmosfera storica: io non ho vissuto gli anni '60-70, quindi se qualcuno che li ha vissuti mi smentirà sarò più che pronto a scusarmi, ma da quel che ho visto nei film del periodo (tra cui il sopra citato "The Texas Chainsaw Massacre" originale di Tobe Hooper) e in alcui documentari, sembra che qui tutti gli ambienti siano stati malamente travestiti, come in una carnevalata, giusto per ricordare vagamente il '69 (e '30 nel prologo), mentre i ragazzi sembrano dei giovani contemporanei in procinto di andare ad una rivisitazione remixata di Woodstock. A quanto pare, per Bay e compagnia brutta, bastano dei pantaloni a zampa d'elefante, della musica del periodo infilata a forza (enfatizzata da dialoghi, per far capire che "sì, siamo negli anni '60-'70, non hai ascoltato i dialoghi dove parlano delle canzoni del periodo?") e delle auto d'epoca et voilà, eccoti il '69!

Altro elemento che rivela la superficialità bayana è l'enfatizzazione della cattiveria della famiglia di cannibali grazie all'accentuazione della bruttezza e sporcizia: già dal piccolo Leatherface versione baby zombie di "Brain Dead" (che sostituisce il volto deturpato del film precedente) fino ad arrivare alla casa degli Hewitt (inspiegabile mutamento di cognome rispetto all'originale Sawyer, così come resta inspiegabile il cambiamento, nel "The Ring" hollywoodiano, del nome Sadako in Samara), lercia e unta in un modo inconcepibile, talmente inconcepibile da far balzare agli occhi anche allo spettatore più ottuso la innegabile malvagità di questa famiglia. Certo, anche nell'originale i Sawyer non erano poi così belli, ma la loro bruttezza riproduceva l'aspetto fisico dei redneck reazionari texani. Qui invece la ripugnanza fisica sembra voler specificare la differenza tra i buoni modelli palestrati (che lo/a spettatore/rice sano/a di mente, a quanto pare in minoranza, odia fin dal principio) e i cattivi freak (tra cui non si può non citare la signora obesa).

 

Però, rispetto al capitolo di nispel, qui la figura di Leatherface risulta più approfondita: egli è un ragazzone disabile incompreso dalla gente, e viene sfruttato dal guerrafondaio pseudo-sceriffo fascistoide per macellare persone da mangiare. Se nel remake Thomas Hewitt era un mostro assassino che i "buoni" (i "normali") devono mutilare (e se non è ultra-reazionario questo...), qui diventa una vittima destinata o all'isolamento o allo sfruttamento, e ciò si intuisce senza doverlo dipingere come una sorta di giustiziere dal cuore d'oro (come accadrà nel successivo reboot 3d).

Per quanto riguarda la regia di Liebesman, pur nella sua essenzialità (e nell'abuso di riprese traballanti e ralenty ad cazzum), riesce a proporre delle scene piuttosto interessanti, come il lavoro di sartoria svolto da Leatherface (quando spella il viso del ragazzo riesce quasi a impressionare), l'immagine della ragazza sulla soglia in bilico tra la propria salvezza e la responsabilità verso gli amici rimasti prigionieri, la scena (già vista, ma sempre ottima) dello sceriffo che pare guardare la protagonista attraverso un vetro mentre in realtà si sta solo specchiando; degni di nota inoltre i vari richiami al film originale, più numerosi qui che nel remake, nonché il finale spietato.

Il cast non brilla per bravura, fatta eccezione per il grandissimo R. Lee Ermey, che qui si cimenta come non mai in una sorta di autoparodia del sergente maggiore Hartman, con strofinamento di genitali e incitamento alle flessioni (senza dimenticare il carattere reazionario e profondamente militarista dello storico personaggio kubrickiano).

 

Per concludere, pur essendo caratterizzato da uno spirito fortemente commerciale (e quindi superficiale), questo prequel riesce ad essere decisamente più godibile del pretenzioso remake firmato da Nispel, grazie anche alla scelta di non prendersi sul serio, mentre il film precedente era appesantito da un tono eccessivamente (e inutilmente) serioso. Inoltre, in questo film lo Splatter abbonda assai, e anche questo rende più godibile la visione (ovviamente per gli/le amanti di questo sottogenere).

 

Voto: 6 --

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