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Paradiso + Inferno

Regia di Neil Armfield vedi scheda film

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La recensione su Paradiso + Inferno

di scapigliato
8 stelle

Il titolo originale del film dà la direzione esatta della pellicola, gravando sul personaggio labile e autodistruttivo della protagonista, la bella e delicata Candy. Il titolo di distribuzione italiano, pur carino che sia, sembra indirizzare lo spettatore sulla morbosità tutta perbenista delle vite alla Baudelaire, come se fossero dei fenomeni da baraccone. Il paradiso e l’inferno del titolo sono presenti anche nella confezione grafica del film, nel ritmo a capitoli che il regista imprime alla storia. Questo però non dà ragione a modificare in quel senso il titolo, deformando l’intenzione autoriale del regista stesso. Così, vissuto per quello che è, “Candy” s’inserisce in quei drammi tossici che da decenni ci parlano, ci spiegano, ci iniettano per endovena la vita, squallida o sognante, libera o asservita, di chi sceglie la droga. Principe e regina insieme resta l’inarrivabile “Cristina F. Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino”, che visto in terza media come ho fatto io, ti resta nell’anima. I titoli sono numerosi, ma vanno segnalati almeno “Trainspotting” e “Blow”, pellicole diverse ma che puntano il dito entrambe sulla vita, più che sugli effetti. Dopotutto sono figli degli anni ’90, e il cinema psichedelico e allucinato dei ’70 è troppo lontano. Ora arriva lo sguardo sociale, il taglio civile. Questo punto di vista coinvolge “Candy” che introduce nella narrazione un elemento in più che lo differenzia da altre pellicole: la famiglia di lei. In generale, la famiglia ha sempre avuto il suo peso in questi film, ma in “Candy” è il termine di paragone e la chiave emotiva con cui leggere la storia dei due protagonisti. L’affetto oltreumano del padre nei confronti della figlia, ma anche sottotaciuto verso il di lei ragazzo, è un affetto disarmante. Il regista poi decide di dare a tutto il tono freddo della sterilità ambientale, ma non riesce là dove la nostra Cristina F. riusciva. Infatti la scena della disintossicazione in “Candy” recupera il distacco delle pellicole dure e crude dei ’70, ma non raggiunge l’apice di orrore del film tedesco. Se il ruolo del padre è il ruolo che ci commuove di più, non possiamo non dire come Heath Ledger sia il migliore sul campo. Puro, duro, quasi distratto. Ruba sorrisi e tenerezze. Che il suo fisico sia adatto a ruoli di bei tenebrosi che nascondono un gran cuore non è una novità. Ledger, oggi scomparso, infiamma. E il volto bianco, distrutto, perso che ha il suo Danny in “Candy”, crediamo possa essere quello che l’ha accompagnato alla morte. E questo fa ancora più male.

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