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L'invenzione di Morel

Regia di Emidio Greco vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'invenzione di Morel

di iosif
8 stelle

Nel 1974 Emidio Greco dirige il suo primo film, trasferendo al cinema la pagine scritte nel 1941 dal ventisettenne Adolfo Bioy Casares, amico e, in alcune occasioni, collaboratore di Borges, che ha scritto per il suo lavoro un’entusiastica introduzione. Il romanzo breve di Casares ha un’idea e un’atmosfera, gioca sulla vicenda e sulla suggestione fantastica, mentre adopera personaggi e azioni in modo prevalentemente funzionale.  Greco costruisce un film fedele, un’opera silenziosa su un’isola perduta e sospesa, dove gli spazi e le geometrie, i silenzi e i rumori naturali sono elementi primari ed essenziali; un film distante dal modo di fare cinema in Italia, dunque, costruito su un intreccio di per sé insolito,  ma intimamente legato alla macchina cinema, per la quale sarebbe stato innaturale non prenderlo in considerazione.  
Il film si apre col naufragio del protagonista che, scalata la scogliera a difesa di un’isola brulla, trova una grossa costruzione in vetro e cemento. La prima suggestione è nelle geometrie artificiali in contrasto con le rocce e la vegetazione ingiallita dal sole, e porta ad una lunga esplorazione accompagnata dagli unici suoni dei passi che risuonano negli ambienti vuoti e, all’esterno, del vento incessante. Tutto appare deserto finché, un giorno, l’uomo sente della musica e vede delle sagome danzare in lontananza. Si nasconde e spia i movimenti e i discorsi degli abitanti dell’isola, finché non gli risulta evidente che, quelli che finirà per definire "fantasmi", non hanno possibilità di vederlo o di interagire con lui.
L’invenzione di Morel è il mezzo per creare un surrogato dell’immortalità, raggiunto attraverso la registrazione di una settimana di vita dei suoi soggetti, seguita dalla sua proiezione ciclica e infinita. Morel adopera la tecnologia per sopperire alle mancanze; per analogia ed espansione, così come il telefono restituisce la voce, la fotografia e il cinema l'immagine, l'inventore riesce a rendere presenti ed accessibili tutti i cinque sensi riconducibili alla persona. Una volta registrato tutto quel che un essere emittente propone ai cinque sensi, spiega il fantasma di Morel, i simulacri degli esseri viventi sono del tutto simili all’originale, ed acquistano coscienza.
I fantasmi vengono proiettati dalla macchina di Morel, che ripropone la settimana di vita sottoposta a registrazione. Il loro è un mondo chiuso, ma nell’osservarli non c’è motivo di credere che manchi la coscienza del presente;  e sarebbe d’altronde impossibile pretendere una conferma, perché questo significherebbe un tradimento della loro condizione. La macchina, inoltre, “consuma” gli originali, e la loro morte assicura l’unicità della coscienza. Come nelle credenze di alcuni popoli, che sospettavano che le fotografie rubassero l’anima agli uomini, così la morte che è nella registrazione (cinematografica) totale ingabbia l’anima e le assicura una ripetizione eterna, che si può essere disposti ad assimilare alla vita.
Emidio Greco rende bene quel che è l’interesse principale del testo, cioè la sua parte fantastica e speculativa, mentre perde forse l’occasione per sviluppare meglio il ruolo spettatoriale che il protagonista ricopre, riducendo al minimo la storia del suo amore per uno dei personaggi e approfondendo poco il suo rapporto con la ripetizione che è la vita dei fantasmi. Il regista sceglie, infine, una conclusione differente, portando l’uomo alla distruzione delle macchine di Morel. Il romanzo, forse in maniera più efficace e disturbante, descrive l’intruso mentre si registra a sua volta, simulando interazione con la donna di cui s’è innamorato, accostandosi per sempre al suo mondo senza poterne davvero fare parte.

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