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The Departed. Il bene e il male

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su The Departed. Il bene e il male

di FilmTv Rivista
8 stelle

Ci sono due "reclute", due giovanotti cresciuti a South Boston, zona dura della città, almeno "some years ago", come dice la scritta all'inizio del film, nella quale per fare carriera diventi o poliziotto o criminale: Billy Costigan, infatti, è un criminale, è riuscito a entrare nella banda del boss Frank Costello (niente a che fare con la mafia italiana, questo è irlandese, e il suo cognome si pronuncia Càstelo, accento sulla "a", come ha spiegato Scorsese in conferenza stampa), che controlla ogni tipo di traffico, dalla droga alla vendita ai cinesi dei microchip necessari per l'atomica; e Colin Sullivan è un poliziotto, carriera folgorante, un grande appartamento con vista e un posto di fiducia nella Squadra Speciale Investigativa che sta tentando di incastrare Costello. Oppure, forse Billy Costigan è un poliziotto sotto copertura, e forse Colin Sullivan è un gangster infiltrato nella polizia. E forse lo stesso Costello è un informatore dell'Fbi e magari qualche altro pezzo grosso del dipartimento di polizia passa le notizie a Costello. Così è Boston (non solo a "Southie"), così è l'America, un posto dove se vuoi qualcosa devi prendertela (come dice Costello nel lungo monologo in voce off dell'antefatto), dove se non guadagni sei uno stronzo (come dice il suo braccio destro, e unico fedelissimo, l?assassino psicopatico French, un Ray Winstone tanto epicamente, stolidamente cattivo da risultare persino disarmante). Procede così, svelta e sinuosa, impietosa e inarrestabile la tessitura del nuovo, allucinato capolavoro di Martin Scorsese, The Departed, storia di malavita dove l'onestà non paga mai, dove le alleanze si ribaltano e si riformano nel giro di pochi secondi, nel tempo di un colpo secco di pistola, dove devi guardarti ogni secondo dal tuo compagno di gang o di squadra, dove persino l'amore è talmente cieco da non saper distinguere le reali fattezze del proprio oggetto, ma anche talmente cauto da scegliere l'approdo, all'apparenza, più convenzionale. Una storia come un incubo quotidiano, dove tutto si salda in un flusso ipnotico, senza soluzione di continuità tra passato e presente, tra ricordi di un'infanzia spesso al limite e violenza circostante, tra bene e male, due ore e mezzo senza fiato e senza tregua per un affresco americano claustrofobico, disperato e sconvolgente. Sul piano morale, The Departed è il Mystic River di Scorsese, su quello stilistico è il film più simile a Casinò che Scorsese abbia mai fatto, "astratto" nell'impianto cromatico e nelle ombre che lo opprimono e lo delineano (per esempio, Jack Nicholson-Costello, avvolto in un ostinato controluce per tutta la prima sequenza), isterico nei toni, negli accenti, nelle azioni e reazioni di tutti i personaggi e in un montaggio fluido e "psichico" (di Thelma Schoonmaker, come sempre, che meriterebbe un terzo Oscar dopo quelli per Toro scatenato e Aviator) che fa un tutt'uno con la regia, con la sua vertigine del movimento e la secchezza del piano fisso. Martin Scorsese è (ancora una volta, dopo il cedimento di Aviator e l?irrisolto Gangs of New York) il maggior autore americano, quello più capace di padroneggiare uno stile altissimo e arrischiato, non un narratore classico, ma un esteta moderno, che rielabora e gioca tutte le carte della visione per mettere in scena la tragedia di un paese e uno stile di vita. Tragedia fin dall'impianto iniziale, due personaggi coetanei e speculari che si intrecciano continuamente e si inseguono ostinatamente senza incontrarsi mai, fratelli d'origine e di formazione, circondati da "padri" esigenti o distratti, Frank Costello su tutti, che fin dall'infanzia fa e disfa le loro vite, e padri veri ormai scomparsi e funzionari di polizia che oscillano tra incapacità e ingenuo idealismo. Freud e Shakespeare sogghignano ai bordi della storia, citati entrambi ed entrambi, in fondo smentiti: nessuno può leggere nel cuore e nella testa degli altri e, in quest?America senza pietà e senza fine, nessuno vince.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 43 del 2006

Autore: Emanuela Martini

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