Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
In apertura, Visconti sfoglia Gabriele D’Annunzio, non lo legge e non lo adatta, lo osserva e ne rettifica il fatiscente edonismo martirizzando i personaggi in una messa in scena di maniacale, struggente perfezione: è il contraltare di una borghesia che cerca nelle pieghe dei tessuti damascati scampoli di vitalità ma trova solo il languore decadente delle carni. Persuade l’incapacità di Tullio - un Giannini in parte - di volgere gelosia, orgoglio e seduzione in disinteressato amore. Il cruccio morale, che contempla impavido lo spettro di Dio, risolvendosi in delitto ed espiazione, è un risvolto inedito di dostoevskijana memoria.
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