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Un inglese all'estero

Regia di John Schlesinger vedi scheda film

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La recensione su Un inglese all'estero

di fixer
8 stelle

 

Un film inglese che più inglese non si può. Si tratta di un prodotto di 72 minuti diretto da John Schlesinger tra un film e l’altro. Non è certo un “intervallo” o un film minore. Il regista teneva parecchio a girarlo. E non a torto, visto il risultato. Si tratta di un’opera piena di spunti interessanti e particolarmente ben scritta. La trama è molto esile e si riferisce a un viaggio a Mosca di una compagnia teatrale inglese. Degli attori fa parte, oltre al magnifico Charles Gray, l’australiana Coral Brown che interpreta se stessa, visto che fu lei nella realtà ad essere avvicinata dal protagonista, Guy Burgess, a Mosca alla fine degli anni 50.

Burgess, come si sa, fu una spia inglese che passò importanti documenti al KGB nel periodo della guerra fredda, quando era segretario del Ministro degli esteri britannico McNeil. Durante un viaggio a Mosca con Donald McLean, nel 1951, Burgess compì assieme all’amico Donald il gran salto e passò ai russi, anche se contro di lui non esistevano ancora sospetti.

Di buona famiglia, studiò tra l’altro a Eton e insegnò a Cambridge. Mente brillantissima, dal temperamento burrascoso, alcolista, snob, causò non pochi danni al suo Paese e alla Nato per la cessione ai sovietici di documenti top secret sulla strategia NATO.

Il motivo conduttore del film è il rapporto che si crea fra l’attrice Coral Brown e Burgess. Si tratta di due personaggi con diversa visione politica e forse, etica, ma con simile gusto estetico. Il piano di comunicazione e di intesa su cui essi si incontrano riguarda perciò ciò che li unisce. Su questa base si stabilisce una relazione amicale che porterà i due ad avvicinarsi e condividere temi di comune interesse. L’altro piano, malgrado il tacito tentativo di escluderlo dalla loro relazione, rimane pur sempre aperto e diventa un convitato di pietra che, pur se volutamente ignorato, continua a condizionare l’ampiezza tematica e la qualità del loro rapporto.

Esso, ad un certo punto, irrompe e marca i limiti. In un momento di abbandono, quando Coral gli chiede che cosa gli manca dell’Inghilterra, egli risponde: “il Reform Club, le strade di Londra, la campagna inglese, i pettegolezzi. Amo Londra e l’Inghilterra, ma non posso dire di amare la mia patria. Patria: che vuol dire?”. Coral Brown, dopo aver anticipato di essere solo un’attrice e per giunta straniera e che non intende fare dei processi, ma non può esimersi dal sibilare a Burgess che egli “ha pisciato nel piatto dove noi mangiavamo”. La Brown rappresenta il tipico cliché dell’artista, con tutto il portato “laico” che è un po’ privilegio della sua professione. Burgess e la Brown, quindi, si incontrano in un terreno neutrale, che non sente, se non in misura molto relativa, il richiamo all’ordine, a certa retorica del dovere patriottico. Il terreno dell’arte è territorio neutrale che permette l’approccio fra sensibilità, convincimenti, posizioni altrimenti molto diversi. La Brown accede volentieri alle richieste di Burgess perché oltre ad essere intelligente comprende che il terreno in cui Burgess la vuole contattare è quello comune per l’arte, il buon gusto e la cultura (Burgess è stato insegnante a Cambridge e ha fatto parte dei Cambridge Apostles, gruppo culturale elitario e segreto).

A Schlesinger non interessa il pistolotto retorico del buon suddito di Sua Maestà, del tradimento dei valori e di tutto un mondo. E non gli interessa nemmeno analizzare le ragioni di questo passaggio al “nemico”. E argomenti certo non ne mancavano. A questo proposito basterebbe pensare a un altro film inglese che parla di Burgess e cioè ANOTHER COUNTRY (La scelta) di Marek Kanievska. Ad un certo punto, quasi con fastidio, il regista farà dire a Burgess (interpretato da un buon Alan Bates): “Perché l’ho fatto? Perché allora mi sembrava giusto così”.

Quel che realmente interessava a Schlesinger era mostrare quanto sia fortemente connaturato, anche in un uomo così discusso, il senso di appartenenza allo stile di vita del proprio Paese, specie se l’Inghilterra, sentito come più identificativo del concetto di fedeltà alla patria. La Patria si può tradire, sembra suggerirci, se adotta politiche ingiuste. Ma non si può venire meno allo stile britannico, fatto di tradizioni, comportamenti, gusto, civiltà e civismo. Un film quindi, per certi versi, trasgressivo e per altri, snobistico. Un film solo apparentemente “leggero”, ma pieno di spunti di riflessione e condito, e qui ci troviamo tutti d’accordo, con lo squisito e fine humour britannico che segna un popolo, regimi e politiche a parte.

 

 

 

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