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Indiana Jones e il tempio maledetto

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Indiana Jones e il tempio maledetto

di stanley kubrick
8 stelle

LA FORTUNA DELL'ARCHEOLOGO OVVERO LA GLORIA INASPETTATA E LA SUCCESSIVA VENERAZIONE

"Se bevi il sangue non ti puoi svegliare dall'incubo..."

Secondo capitolo della saga di Indiana Jones che, dopo il primo successo sia al botteghino che come critica, non tradisce troppo le aspettative. Sicuramente inferiore al primo (I Predatori dell'Arca Perduta) e al terzo (Indiana Jones e l'Ultima Crociata) ma superiore al quarto e (per ora) ultimo episodio della saga (Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo. La regia, come per ora in tutti gli episodi di Indy, è affidata nelle sicure mani di Steven Spielberg che è ancora abbastanza bravo a miscelare la sostanza dell'avventura con risvolti ora comici ora orrorifici. Harrison Ford è invecchiato di tre anni (il primo capitolo è dell'81, questo dell'84) ma il fiato, la corsa e il "maneggiamento" della frusta ce l'ha ancora nel sangue. Stavolta, come personaggio femminile che accompagna il nostro eroe in questa avventura, non c'è più Marion, la fiamma che lo ha accompagnato nella prima avventura nonchè sua ex, quest'ultima infatti è stata "sostituita da Willie Scott, cantante night incontrata da Indiana nel prologo del film, successivamente presa in ostaggio dal protagonista, interpretata da Kate Capshaw. Oltre a questa nuova apparizione nel film di Willie, Indiana ha incontrato (prima dell'inizio del film) un bambino cinese, dopo che i suoi genitori sono stati uccisi. Il bambino si rivela una vera forza anche per quanto riguarda le arti marziali. Poteva essere il Bruce Lee del futuro. Il soggetto del film è di George Lucas, il regista di Guerre Stellari, mentre la sceneggiatura è stata scritta a quattro mani da Willard Huyck e da Gloria Katz che hanno sostituito lo sceneggiatore del primo episodio, Lawrence Kasdan. Il produttore è Robert Watts mentre i produttori esecutivi sono Frank Marshall e lo stesso George Lucas. Le musiche sono di John Williams, lo stesso compositore de Lo Squalo, film sempre diretto dallo stesso Spielberg.
L'avventura del secondo episodio è una specie di divertimento iniziale prima del vero film. Come successo nel primo. Soltanto che nel primo capitolo il cattivo iniziale ha avuto una certa influenza anche nel proseguio dell'avventura, nel secondo episodio invece Lao Che (così si chiama quella sottospecie di boss della mafia cinese) non ha una particolare influenza nel continuo se non per il fatto di aver "fatto cadere dal cielo" Indiana, il bambino e la cantante nel villaggio degli indiani. Potrebbe essere sia un punto a svantaggio che un punto a vantaggio. Il primo perchè ci sarebbe piaciuto come sarebbe andata a finire con il boss, il secondo perchè sopraggiunge un altro cattivo di cattiveria illimitata.
I bambini, nel film, sono schiavi. Ci sono tanti rimandamenti allo sfruttamento minorile già quando gli abitanti del paesino indiano chiedono al protagonista di cercare la pietra rubata e, nello stesso momento, gli chiedono di riportargli indietro i bambini, rubati anch'essi dagli stessi ladri della pietra. Quando si entra nella grotta dove i bambini lavorano ci scorre un brivido per la schiena. Sporchi, denutriti, trattati male. Non si intravede più il viso a questi bambini. Le loro ossa sono visibilissime. Respirano male. Perfino l'unico che viene trattato "bene" risulta un bambino sfruttato. Questo bambino sarebbe il Maharaja della città. Adornato fino al collo di oro, bastardo in certi momenti, specialmente quando pratica su Indiana l'arte magica chiamata voodoo nel finale, ma terribilmente gentile quando non è più caduto nella maledizione, tanto da indicare la via d'uscita ai protagonisti avventurieri. Il bambino cinese potrebbe essere l'unico a non essere stato sfruttato a dovere, ma anche lui ha avuto un infanzia difficile.
La protagonista al femminile cambia in maniera molto evidente dal primo al secondo capitolo. La ragazza del primo capitolo era forte, sicura di sè, arrogante e testarda. La ragazza del secondo capitolo è gracile, ha paura di ogni animale o cosa che si muove e pensa solo e soltanto ai diamanti. L'altra arte magica presente nel film sono proprio i diamanti. Ammalianti, lucenti e bellissimi sono una figura importante per continuare la vita, anche se la vita viene sporcata dal loro influire nella testa del diretto interessato, in questo caso la cantante. Ma l'amore, in ogni forma strana a cui si può riferire, combatte tutto, anche la voglia continua di cercare il possibile dopo che si è trasformato in impossibile.
Il sangue scorre ora più veloce ora più lento rispetto al primo capitolo. La lentezza dello scorrere nelle viscere umane quando si beve, la velocità quando schizza fuori all'improvviso dal corpo umano. Il sangue, con il suo colore rosso forte, si può mischiare al fuoco presente nel finale e complice della frammentazione del corpo in piccoli pezzi che saranno cenere. Tutto quel fuoco può essere presente solo nei vulcani. Eppure il limite umano sta proprio nell'illimitato.
La religione si divide in due fasi: quella esercitata dai credenti al Dio del male e quella esercitata da noi spettatori per venerare il protagonista dei quattro episodi. La prima è una religione che si deve volere. Il bere sangue continuamente è un atto reciproco alla salute degli umani. Ma questo non cambia. La seconda ovvero la venerazione come invisibile nella televisione ma estremamente vera nella realtà.
La diversità è sinonimo di connessione nella pellicola in questione. Come dimostrano gli usi e i costumi degli indiani, considerati dagli americani mangiatori di schifezze, e quelli degli americani, considerati dagli indiani mangiatori di schifezze. Oltre a questo il cibo, le danze, la venerazione del proprio Dio, la ricerca dell'io secondo Dio e molte altre diversità. E' proprio per questo che le due nazioni sono così vicine a tal punto da venerarsi l'una all'altra.
Il finale per fortuna non è misterioso e a sorpresa come il primo. Dopo mille peripezie infatti c'è il lieto fine, anche e soprattutto perchè c'è il super bacio finale tra Indy e Willie. Che strano c'è anche l'assonanza...
Spielberg reinventa il genere d'avventura con la saga d'Indiana Jones. Quest'ultimo, oltre alle avventure, ci insegna anche qualcos'altro.
La diversità è sinonimo di uguaglianza.

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