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L'incidente

Regia di Joseph Losey vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su L'incidente

di alan smithee
8 stelle

Il regista è posto di spalle: potrebbe essere testimone oculare, freddo ed impassibile, di uno schianto, ma preferisce rivolgersi verso il giardino recintato di una nobile villetta nella campagna residenziale di Oxford.  Un passo lento, lentissimo procede verso l’ingresso, violando intimità e vincoli di proprietà dati per scontati. Improvvisamente udiamo il rumore metallico e freddo dello scontro. A quel punto, solo a quel punto, la staffetta visiva passa al protagonista, Stephen, un professore universitario di filosofia sui quarantacinque anni che, richiamato dal boato, esce di casa per capacitarsi dell’accaduto, e scoprendo, con ammutolito stupore, chi si cela tra le lamiere contorte del veicolo ribaltato finito contro un albero. Persone a lui ben note, come si capirà. La stessa scena, rivissuta al contrario e dunque con passo lento ma arretrato, dal giardino della villa verso l’esterno, caratterizzerà un finale sadico, inevitabilmente diabolico ed irrispettoso di un calcolo delle probabilità che ne impedirebbe il riaccadimento: un altro incidente d’auto nello stesso punto del primo. Un gran bell’incipit per il secondo film di Losey sceneggiato da Harold Pinter, dopo Il servo e prima di Messaggero d’amore. Un’opera che riflette con amarezza e pessimismo sulle occasioni perdute nella vita. Sull’impossibilità di fermare una vecchiaia che avanza e che ti rende ormai una seconda scelta, un ripiego o solo un capriccio da parte di giovani fanciulle, quando ancora tuttavia i desideri della carne sono vivi ed attivi nonostante l'ingrigire incipiente. Un confronto sadico tra un professore timido e schivo (Dirk Bogarde), sposato con una donna che non ama e dalla quale tuttavia continua ad avere figli, ed un baldo biondo studente di ricchi natali (Michael York) che attira su di sé le attenzioni di una ricca studentessa austriaca quasi come scommessa nei confronti del suo precettore, che invece la desidera veramente ed ardentemente. Fino a scoprire che la giovane ha da tempo una relazione con un suo scaltro collega, noto anche per le sue apparizioni televisive (Stanley Baker), un mondo in cui anche il mite, schivo professore ambirebbe ad entrare. Invidia, senso di impotenza, amarezza per la consapevolezza di una vita che fugge via e di una gioventù ormai trascorsa, che non resta che rivivere nei contatti clandestini e nella carnalità seducente della sua enigmatica allieva Anna, che si diverte col biondo ragazzotto, seduce il professore più famoso, e gioca crudelmente col timido protagonista, facendolo piombare sull’orlo della depressione. Col risultato finale di togliersi di mezzo tutti e tre gli spasimanti: uno muore, gli altri due li abbandona, uno alla propria arroganza e voglia di dominare, mentre l’altro, il nostro uomo, alla disperazione più cupa. Un bell’intrigo dell’anima, che si fa strada impietoso nei meandri di una società viziata, pettegola ed annoiata, che si chiude in sé stessa ammettendo solo vincitori e rifuggendo la volgare noiosa quotidianità della vita di tutti i giorni. Dirk Bogarde è qui ai suoi vertici interpretativi, con la sua espressività bieca emblema della vigliaccheria, del sopruso astutamente meditato, dell'arrivismo, ma pure dell'inesorabilita' e fragilità della propria condizione di vita e sociale che si traduce esternamente in modo esemplare con la nota smorfia come di un dolore intimo e persistente, certamente più mentale che fisico, che a tratti pare al contrario come un accenno di sorriso, ma che è sintomo inequivocabile di una disperazione nervosa inconciliabile.

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