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Thank You for Smoking

Regia di Jason Reitman vedi scheda film

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La recensione su Thank You for Smoking

di Kurtisonic
8 stelle

Jason Reitman fin dal suo esordio non ha mai cercato di portare alla luce soggetti in preda all’eccesso, aspetti estremi o devianti che accentuino l’alienazione e la paranoia della vita moderna per scuotere con violenza lo spettatore. Il regista con le sue ormai consuete doti di leggerezza apparente e di una certa spigliatezza visiva si muove dentro i confini della normalità, mette però sotto la lente d’ingrandimento situazioni e meccanismi sociali accettati dal vivere comune secondo norme relazionali superficiali, non cade mai nella banalità riuscendo a smascherare vizi, deviazioni  nascoste dalla convenzionalità di vite agiate e magari di successo. Tank you for smoking è il suo primo film, il protagonista Nick Naylor è un aitante bellimbusto dotato di ottime capacità comunicative, è al servizio delle multinazionali del tabacco, li rappresenta pubblicamente e grazie alle sue doti di persuasione verbale contrappone il diritto alla libera scelta di abusare del fumo alle teorie dei sostenitori delle campagne in difesa della salute. Come il protagonista stesso asserisce, “è un lavoro che richiede una moralità flessibile, che manca alla maggior parte delle persone”. In realtà è uno sporco lavoro di convincimento che in nome del denaro che produce non si cura affatto delle conseguenze e dei danni,, approfitta della  passività delle persone, della loro inerme volontà, della debolezza intrinseca e spettacolarizzata che i ritmi della vita moderna impongono all’esistenza sottraendo (a chi si predispone) il tempo di pensare. La vicenda si sviluppa fra gustosi siparietti fra Nick e altri due portavoce delle multinazionali delle armi e dell’alcol, sfidandosi cinicamente per proclamare chi di loro è al servizio dell’industria più dannosa per l’umanità. Restano centrali le considerazioni che il film può sollevare sulla manipolazione del linguaggio, sull’arte affabulatoria della parola accompagnata da un’immagine gradevole, su come sia possibile travisare e distorcere concetti, simboli, e significati. Reitman  non bilancia la trasformazione che il personaggio principale adotterà nella storia, sostanzialmente tutto avverrà in modo indolore all’interno di quel sistema privo di valori e di morale nel quale  Nick si muove, anche cambiando interlocutore. Dunque la regia rinuncia a prendere in considerazione l’elemento tragico, né attraverso un inasprimento materiale delle traversie vissute da Nick, né inserendo elementi di contorno che in qualche modo deteriorino la sicurezza del personaggio. Entra così in gioco il peso della natura della mediazione a cui il regista, esordiente, si sottopone. Da una parte c’è la produzione, l’establishment, gli inevitabili compromessi a cui un prodotto che mira ad una distribuzione canonica deve evidentemente sottostare. Si sfiora il pericolo che venga sminuito e minato il messaggio portante del film, poiché si mantiene indenne la positività del protagonista, cioè di un soggetto teso alla tradizionale libera iniziativa americana, senza scalfirlo esternamente (manterrà una buona posizione di lavoro e di successo) né interiormente (immutabilità degli affetti e delle amicizie). Si rischia di avvalorare quella mistificante libertà di espressione  tesa  solo al profitto e alla rinuncia di pensare autonomamente che il film invece vuole colpire. In realtà la mediazione che il regista attiva volutamente è quella con lo spettatore: salvando Nick da traumi e dolori sposta con fermezza l’attenzione non più sull’azione e relativo epilogo sul suo destino che si presterebbe ad essere singolarmente giudicato e farebbe deragliare il commento di chi guarda sul caso in sé, al regista interessa la lettura sociologica, il meccanismo corrotto della comunicazione mediatica che si riproduce di nuovo sotto altre vesti e che si ripropone nel quotidiano. Alla luce dei lavori successivi del regista che predilige comunque l’approccio a temi diversi sempre con toni vicini alla commedia lo si può definire più onesto che furbo, meno allineato di quanto sembri.     

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