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INLAND EMPIRE

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su INLAND EMPIRE

di lussemburgo
8 stelle

Alieno da ogni forma di grammatica cinematografica, INLAND EMPIRE di David Lynch è una ricognizione nella mente della protagonista, attrice in procinto di interpretare un nuovo film e turbata dall'improvvisata visita di una nuova misteriosa vicina. Da questo incipit semplice scaturisce una visione densa e stratificata, astratta dal tempo o dallo spazio fisico correnti, in cui ogni riferimento logico sembra perdersi nella demoltiplicazione di personaggi e nella ripercussione speculare di alcune scene.
L'avvio del film e il riferimento al mondo cinematografico sembrano indicare noti cliché sedimentati nell'immaginario. La semplice entrata di Grace Zabriskie in campo e nella vita dei Laura Dern fa vacillare l'apparente quotidiana normalità, è il pretestuoso motore degli eventi visibili sullo schermo. Il film che Laura Dern interpreta è il remake di una pellicola mai terminata e l'altra narrazione, destinata a ripetersi, si insinua in quella presente, vi si annida e la infetta. Tutto sembra delineare un uso pletorico del flash-back (o flash-forward), ma l'espediente retorico diventa il varco verso una dimensione diversa, ulteriore e interiore. Linee narrative apparentemente estranee e discordanti si inquinano in una compenetrazione totalizzante, nei continui passaggi che nella transizione sembrano assumere la forma della dissolvenza cinematografica. Ma più che di dissolvenza classica, che tronca una linearità e ne introduce un’altra spostata altrove celando uno iato, si tratta di trasparenza, contaminazione visiva di mondi diversi, tutti possibili e perfettamente permeabili. Non esiste soluzione di continuità, non c'è vera interruzione della costruzione cronologica e, più che fornire una narrazione a sé stante, il nuovo opus visivo di Lynch trasferisce lo spettatore in un mondo nuovo, riconoscibile ed estraneo, tangibile quanto astratto in cui diverse epoche e luoghi differenti coabitano in un costante paradosso.
Il film si muove in un diverso flusso spazio-temporale che si incarna nella veste visiva dello stile riconoscibile del regista e al quale l'obiettivo della telecamera da improvviso accesso. In questa visione irrequieta e negata lo slittamento narrativo è soltanto illusorio. Non ci muoviamo su un asse di orizzontalità degli eventi ma in un costante surplace; la linearità ingannevole insita nella forma cinematografica, che viaggia nel tempo circoscritto della durata del film e disperatamente ricercata dallo spettatore, diventa verticale, si amplia in una stratificazione successiva, un approfondimento catartico in cui ogni livello entra in comunicazione con l'altro, che non è precedente o successivo bensì contiguo, visibile in trasparenza e dall'altro influenzato e modificato, senza cesura né effettiva discontinuità. E tra i vari livelli esistono, apparentemente nascosti, punti di comunione, ponti di accesso, dei varchi che l'occhio di Lynch e della telecamera individuano e indicano.
I personaggi attraversano fisicamente porte e, letteralmente, soglie di percezione, ponti di comunicazione tra realtà coesistenti, piani di racconto dissonanti, illusori giochi metaforici che si integrano alla vicenda e la fanno procedere con una peculiare logica interna fatta di rimandi e risonanze, di leitmotiv verbali e visivi, di figure polimorfiche e polisemiche. È una realtà nuova e polivalente quella raccontata da Lynch, una surrealtà complessa addensata in un ipertesto dai link perennemente attivi che l'inedita trasparenza del reale rende percettibili.
Se l'aspetto complessivo è di un apparente delirio onirico che assume il codice enigmatico del sogno per calarci in un labirinto sinaptico e mnemonico disperatamente dissennato e pare risolversi nell'illusione di una premonizione, INLAND EMPIRE rifiuta ogni forma di narrazione lineare, delinea un diverso universo dove i personaggi perdono i loro parametri identitari in una compartecipazione emotiva complessiva. Tutti sono tutti gli altri, i referenti fisici e psicologici sono vaghi e vacui, il punto di vista una mera illusione, il significato complessivo è aleatorio e fugace, imprendibile ed evanescente. Lynch rifonda la narrazione negandone ogni limite, le convenzioni apparenti sono tranelli che incitano a cercare una coerenza soltanto frustrante; le varie forme di rappresentazione (cinematografica, televisiva, teatrale, tutte presenti) diventano semplici espedienti di comunicazione visiva ed emotiva, mentre la visione si sottrae ad ogni regola, si rarefa, si dissipa e la narrazione rettilinea si sfalda e disperde.
La tessitura stessa della realtà viene a mancare, indebolita dalla granulosità del video, dall'ombra che inghiotte i personaggi, dalla luce che li acceca e ne sfibra le forme. Il dualismo tra sovra e sottoesposizione e l'uso sporco del supporto digitale sopprimono la nitidezza e rendono ancora più tangibile, nella sua fragilità visiva, compromessa anche dal continuo fuori fuoco e dalla deformazione dei primissimi piani, la fatale ristrettezza del vocabolario e della sintassi audio-visiva corrente. Il concetto stesso di regia o di messinscena deve acquisire nuovo significato in INLAND EMPIRE, non un film ma amalgama di quadri, opere d'arte di tecnica mista giustapposti tra cui lo spettatore deambula sotto la guida del regista nel buio della sala cinematografica. La galleria espositiva della sala oscura diventa allora un elemento determinante e ulteriore dell'esperienza artistica, sintomo di una fruizione che diventa essa stessa parte integrante dell'installazione che il film rappresenta e il cui senso, volendolo trovare, può essere ricercato soltanto a posteriori, dopo l'esperienza e non nel suo farsi. La soggettività ossessiva che permea la pellicola impone allo spettatore di contaminarla con la propria, di rendersi partecipe e complice di un percorso inedito ed alternativo. Non tutto il senso è visibile e non tutto il visibile ha senso in questa realtà evanescente, che mette a repentaglio il concetto di visione e visibilità, per arrivare alla più libera nozione di percezione. La macchina da presa diventa allora, per lo spettatore, il tramite per una nuova realtà. Il mezzo audio-visivo, come il pretesto cinematografico per i personaggi e per l'input narrativo, è la convenzione riconoscibile che rende riconoscibile la zona d'accesso ad una realtà più profonda e trascendente, a forare il velo della visione tradizionale, è l'invito al viaggio che parte dal cinema per giungere altrove.

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