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Cars - Motori ruggenti

Regia di John Lasseter, Joe Ranft vedi scheda film

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La recensione su Cars - Motori ruggenti

di spopola
8 stelle

Uno stupefacente (oserei dire strepitoso) risultato quello raggiunto da John Lasseter e la sua equipe per quanto riguarda l’aspetto visivo con questa “perfetta” costruzione di “animazione tridimensionale” che rappresenta, “riproducendoli realisticamente” - con insolita, ma consueta maestria visti gli standard sempre più “perfezionistici” del gruppo - persino i riflessi delle luci sulle carrozzerie luccicanti di questo “curioso” mondo popolato esclusivamente di auto antropomorfe “fotocopiato” per quanto riguarda i comportamenti, i tic e le usanze, sulla falsariga del “nostro vivere quotidiano”, fra debolezze, eccessi e “ravvedimenti” non sempre possibili. Più scontata semmai la tematica che ripropone, grazie a una intelligente metafora, lo stereotipo consunto del “ritrovamento necessario” di quei vecchi valori troppo spesso dimenticati e forse irrimediabilmente perduti, che avevano radici in realtà così “quietamente” illuminate proprio dalla “condivisione partecipata”, quella “fratellanza solidale” che è diventata ormai una merce tanto preziosa e rara da risultare quasi un miraggio irraggiungibile (ma poiché è proprio dall’America che ha avuto origine, si è ingigantita ed estesa sempre più come una gramigna infestante questa irrefrenabile “esaltazione assoluta” dell’arrivismo e del successo qui in qualche modo messo alla berlina, visto che sono frequenti le posizioni di critica al processo in atto che sembrerebbe inarrestabile, non sarebbe forse l’ora -e il caso – che proprio da là, dove più forte si avverte il divario, si cominciasse finalmente a passare dalla “constatazione nostalgica” della critica sotterranea politicamente corretta a qualcosa di più costruttivamente incisivo per tentare con dei fatti concreti, se non di invertire la tendenza probabilmente irreversibile, per lo meno di “attutirne” in qualche modo gli effetti, ritornando ad “umanizzare” se non altro i comportamenti e le aspettative?)… Azioni e non soltanto parole insomma!!!! In “Cars” emerge comunque (e non è poco visto il “genere”) il “rimpianto” citazionistico per il “mito americano” ricreato attraverso “atmosfere” sfumate e coinvolgimenti sottili alla maniera di Capra (ma probabilmente “l’ispirazione” più diretta va ricercata in una vecchia pellicola piena di “buonismo mieloso” del 1991 di Michael Caton-Jones con un giovanissimo Michael J. Fox intitolata “Doc Hollywood – Dottore in carriera” – e chi ha visto “Cars” comprenderà perfettamente le assonanze – che narrava la storia di un giovane medico in viaggio per raggiungere Hollywood e un favoloso posto in una clinica di chirurgia plastica, che per alcuni incidenti di percorso, sarà invece costretto a fermarsi in un piccolo paesino della Carolina del Sud, dove finirà per rimanervi di sua spontanea volontà per “aiutare” concretamente il prossimo, riscoprendo così altruismo e partecipazione fattiva che il culto della velocità e del carrierismo gli avevano fatto dimenticare). E anche i ritmi e le pause - forse inconciliabili visto il target di destinazione - sono proprio quelli di quel cinema lontano (con conseguenti, inevitabili “perdite di colpi” di un motore scoppiettante e su di giri che ogni tanto rallenta fortemente quasi avesse qualche problema di carburazione, nel troppo “allungato” protrarsi del prevedibile sviluppo narrativo per arrivare al sospirato - e inevitabile - lieto fine). E’ in pratica, come potrete ben intendere, la riproposizione dell’ennesimo racconto di formazione, di una “educazione” sentimentale e morale alla riscoperta dei “veri” valori della vita, un viaggio esistenziale per ritrovare prima di tutto se stessi, riscoprire l’importanza del “sentimento”, dell’amicizia e della condivisione, fino a “recuperarsi” nuovamente integri e disponibili, compartecipi e altruisti anche a costo di perdere di vista l’obiettivo primario una volta egoisticamente perseguito a qualsiasi prezzo e condizione e adesso sostituito dall’ineffabile interesse per la solidarietà e dal ritrovato piacere di assaporare la lentezza della quotidianità che consente di riconciliarsi finalmente con la propria interiorità perduta e di riappropriarsi dei propri bisogni dimenticati nella rincorsa frenetica imposta dai ritmi forsennati dell’arrivismo senza senso. Una favoletta morale dunque che vuole acquisire il senso dell’insegnamento didattico prima che sia davvero troppo tardi. All’attivo, rimane soprattutto la funambolica tecnica di realizzazione, così “dettagliatamente realistica” non solo nella definizione dei personaggi o nelle “intuizioni poetiche” di certi passaggi, ma anche nella rappresentazione paesaggistica che diventa il passaporto per rendere davvero credibilmente veritiero questo universo tipicizzato di macchine umanizzate, un insieme composito di personalità perfettamente compiute e concrete, differenziate e riconoscibilissime fra loro. Un po’ spiazzante all’inizio (ci si aspetta da un momento all’altro che dall’interno delle auto esca fuori il ”personaggio”) si fa presto a “familiarizzare” e a lasciarsi trasportare dalla fantasia e dalla immaginazione nell’atmosfera “rilassata” e naive di Radiator Sprint, cittadina in disuso sulla mitica Route 66 ormai in disgregazione progressiva, abitata da “catorci arrugginiti” dove persino le mosche e le zanzare sono piccolissime auto con le ali e Saetta McQueen , il protagonista – dopo un sofferto percorso di riadattamento - riuscirà a recuperare la propria anima, troverà l’amore (quello con l’A maiuscola) e riscoprirà il valore dell’amicizia, quella solida e vera di una volta: il “creatore” Lasseter ha certamente fatto di nuovo centro anche se con meno originalità del solito nell’assunto, e questo nonostante qualche “inceppamento” nelle prolungate schermaglie fra “fughe romantiche” e “ritrosie” che contrappuntano le fasi dell’innamoramento romantico dei “nostri eroi”. Decisamente più per un pubblico di adulti che di bambini (la conferma mi viene dall’anteprima alla quale ho assistito, strapiena di ragazzi di svariate età e provenienze, ma tutti progressivamente più insofferenti e confusionari, sempre meno interessati e attenti agli sviluppi di quanto accadeva sullo schermo fino a diventare persino fastidiosi con le loro intemperanze) è in effetti un film pieno di riferimenti e di citazioni “dotte” di un innamorato cultore, che forse per questo avrà successo, ma non sarà destinato a quel “riconoscimento planetario” che ha decretato il consenso indiscriminato e incassi stratosferici di altre pellicole similari (e il segnale è già presente nel più limitato appeal dimostrato in patria, che evidenzia affluenze meno fluviali del solito, di gran lunga inferiore alle aspettative e ai meriti) e si conferma un “piacevole” e spensierato approccio di apertura di una stagione che si annuncia promettente e variegata. Ottime le musiche e professionalmente ineccepibile il doppiaggio (anche se manca il fascino dei “riferimenti” ricercati nelle “voci” del mito utilizzate nella versione originale).

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