Regia di Jane Campion vedi scheda film
All'inizio seguiamo le vicende di Kay, una ragazza che sembra strana: soffia il fidanzato a una collega dopo essersi consultata con una fattucchiera, conserva un piccolo zoo di vetro come la Laura del celebre dramma di Tennessee Williams e dopo un po' si rifiuta di dormire con il compagno, che si rifugia nella meditazione orientale. Poi entra in scena Sweetie, la sorella davvero svitata e allora si comincia a rendersi conto che in fondo Kay non era poi tanto stramba.
Senza addentrarsi negli sviluppi della trama, penso di poter dire che l'esordio nel lungometraggio di Jane Campion si svolge all'insegna di numi tutelari come David Lynch e (forse) Pedro Almodovar, spruzzati con una dose abbondante di antipschiatria. La personalità robusta ed eccentrica della regista crea un universo di segno sostanzialmente femminile, nel quale i maschi risultano esseri umani di complemento. Nonostante questo, si nota fin dall'inizio della sua carriera (che esploderà l'anno successivo con Un angelo alla mia tavola) che il cinema della Campion non è uno sport per signorine. Fotografato benissimo da Sally Bongers, Sweetie denota quella che è da considerare la personalità più forte del cinema dell'Oceania, quanto meno dopo la fuoriuscita di Peter Weir.
Tra gli attori, tutti funzionali, benché abbastanza anonimi, spicca, anche per voluta sgradevolezza, una Geneviève Lemon di corpulenta vitalità.
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