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Les équilibristes

Regia di Nikos Papatakis vedi scheda film

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La recensione su Les équilibristes

di OGM
10 stelle

Lo scrittore Marcel Spadice, interpretato da Michel Piccoli, è l’ombra di Jean Genet. Nikos Papatakis dedica il suo ultimo film all’amico di una vita, e al suo canto d’amore eseguito con passo danzante. Il funambolo Franz-Ali, il giovane amato dal poeta, incarna un sentimento che sfida la pesantezza del mondo stando pericolosamente in bilico sul filo della diversità: quell’equilibrismo è la vertigine provata quando ci si muove sul sottile crinale che separa il lecito dal proibito. Il rapporto tra quell’uomo maturo, intellettuale famoso e di successo,  e quel povero ragazzo che sbarca il lunario pulendo la pista di un circo,  mentre vorrebbe diventare un’artista, è l’incontro tra un oscuro desiderio e un sogno luminoso.   La loro storia è una favola nata dal letame: quello metaforico che, nella società, circonda l’immagine del pederasta,  e quello inteso in senso letterale, che Franz-Ali raccoglie dal suolo con la scopa dopo le esibizioni degli animali. Del resto il ragazzo è figlio della melma: sua madre, dopo la morte in guerra del marito, per tanti anni si è guadagnata da vivere come lottatrice nel fango nel quartiere a luci rosse di Amburgo. A Parigi, dove abita, è malvista perché tedesca, e quindi assassina di ebrei, ma anche perché ha sposato uno sporco arabo, il padre algerino di Franz-Ali.  L’emarginazione è il prodotto di un’umanità  cieca e vorace, che è violenta col pensiero, e schiaccia al suolo ogni tentativo di sottrarsi alle vigenti definizioni del bene e del  male. La vera volgarità è quella forza di gravità che impedisce di provare a volare: Franz-Ali cade, due volte, e finisce per spezzarsi le ali. Guardare solo se stesso, negli specchi che seguono i suoi volteggi sospesi nel vuoto, non basta a tacitare il cupo richiamo del suolo.  Anche la passione più intensa si lascia distrarre dai casi della vita e dall’egoismo che ne deriva. Il tradimento è un errore  fatale che sta eternamente in agguato. Solo l’innocenza più pura ne è immune, come quella di Franz-Ali, che resta per sempre fedele, nonostante la delusione e il dolore. Tutto il resto si lascia contaminare dal vizio e dalla tentazione del potere. In mezzo a quei macigni che frantumano la felicità, la leggerezza è un’utopia che sbatte duramente contro i propri limiti. Franz-Ali non ce la fa a sollevarsi sulle punte dei piedi. Si infortuna e non riesce a ritornare quello di prima. Si innamora e viene respinto. La realtà ha una naturale tendenza a precipitare, seguendo quello che, forse, è il risucchio della morte. L’altezza ne aumenta il micidiale effetto. E a nulla serve cercare di anticiparne le mosse, assecondandola con la sottomissione, con  la volontaria umiliazione. Franz-Ali ci prova, ma perde lo stesso. Les équilibristes ci insegna che il gioco con l’aria non è meno pericoloso di quello col fuoco. E che là sotto, attaccate al terreno, si trovano tutte le atroci risposte finali.

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