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Memorie di un assassino

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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La recensione su Memorie di un assassino

di cheftony
9 stelle

“Pioveva tutt’e due le volte.”
“Pioveva?”
“L’omicida agisce di notte e quando piove.”
“Davvero?”
“E poi i vestiti rossi. Le vittime indossavano qualcosa di rosso.”
“Tutt’e due?”
“No, tutt’e tre.”

 

Hwaseong, Corea del Sud settentrionale, 1986: il detective Park Doo-man (Song Kang-ho) rinviene il cadavere di una giovane all’interno di un fosso, che costeggia uno sconfinato e dorato campo di grano. Appena il tempo di cominciare indagini e interrogatori preliminari all’interno di una stazione di polizia assai più grigia e caotica ed ecco apparire un secondo cadavere abbandonato in un campo; ancora una volta si tratta di una giovane donna, uccisa con lo stesso modus operandi: polsi legati, tracce di violenza sessuale e mutande infilate in testa. Le forze di polizia hanno un legame più stretto con reporter e fotografi che ne incensino le gesta di quanto lo abbiano con le indagini forensi: Park Doo-man, il suo violento e ottuso collega Cho Yong-koo (Kim Roi-ha) e il loro superiore (Byun Hee-bong) non hanno mai affrontato un caso del genere e optano per una chiave di lettura semplicistica, tentando in tutti i modi di estorcere una confessione da Baek Kwang-ho (Park No-shik), un ragazzo ritardato e con una bruciatura a sfigurarne il volto.
In loro soccorso giunge come volontario un giovane ispettore di Seul, Seo Tae-yoon (Kim Sang-kyung), i cui metodi razionali, moderni e distaccati sembrano pian piano poter condurre le indagini sulla giusta via, per quanto i diffidenti Park Doo-man e Cho Yong-koo tentino di mettere in cattiva luce i suoi modi cool da ispettore di città. Nonostante il coinvolgimento del sergente Shin Dong-chul (Song Jae-ho), gli omicidi seriali proseguono e la ricerca di un colpevole si fa ossessiva e brutale…

 

scena

Memorie di un assassino (2003): scena

 

Scritto a quattro mani assieme a Shim Sung-bo, “Memories of Murder” è stato nel 2003 un immediato successo in patria, al tempo centro di un boom cinematografico che in Occidente abbiamo battezzato New Korean Cinema. A prescindere dai nomi affibbiati al fenomeno culturale, il cinema di Bong Joon-ho si pone senz’altro come qualcosa di nuovo: pur fortemente autoriali, i suoi lavori godono di una certa grandeur da intrattenimento e manipolano i generi in maniera spiazzante. “Memories of Murder” è a grandi linee un thriller, basato sulle vicende accadute in Corea del Sud fra il 1986 e il 1991, anni in cui ha imperversato nella provincia di Gyeonggi il più importante serial killer della storia del Paese. Un caso rimasto insoluto fino alla fine del 2019, quando inaspettatamente è stato individuato il colpevole in un 56enne già detenuto per l’omicidio della cognata. Le vicende del film di Bong Joon-ho, ad ogni modo, si concentrano principalmente sui detective e sui loro metodi di indagine, meritando accostamenti con lo “Zodiac” di David Fincher, nonostante quest’ultimo film sia uscito diversi anni dopo, nel 2007.
È doveroso rimarcare che c’è anche molto altro, in questo capolavoro sudcoreano colpevolmente poco noto alle nostre latitudini prima di “Parasite”: frammenti di fragoroso action movie, spunti grotteschi e persino comici, dramma psicologico. I generi, però, sono solo un pretesto: con questo film Bong Joon-ho inquadra la Corea del Sud in un preciso contesto storico-culturale, ovvero durante la fase di transizione fra la Quinta e la Sesta Repubblica (tuttora vigente); la Quinta Repubblica è stata un’epoca storica la cui nascita viene fatta risalire al 1979 – in seguito all’omicidio del controverso presidente Park Chung-hee – e caratterizzata da una dittatura militare instauratasi con un colpo di stato. La crescita economica del Paese è effettivamente proseguita durante questo periodo, ma a livello sociale il regime del generale Chun Doo-hwan si è contraddistinto per la repressione e il sistematico massacro di piazza di oppositori e movimenti studenteschi.

 

“È come un’ossessione per me. Mi piace mettere questi personaggi perdenti in situazioni che non riescono ad affrontare. È questo che rende il dramma potente. Quando hai un supereroe in missione, il risultato è troppo prevedibile. […] Penso di potermi differenziare dai generi hollywoodiani attraverso questi personaggi.” [Bong Joon-ho]

 

scena

Memorie di un assassino (2003): scena

 

La polizia che Bong Joon-ho ridicolizza in “Memories of Murder” è palesemente figlia di quei tempi; alle istituzioni non interessa trovare il colpevole, ma un colpevole, possibilmente un disgraziato al quale strappare una confessione credibile con metodi di tortura. Al contempo, la società coreana non sembra nutrirsi di compassione: nonostante gli omicidi avvengano in una piccola comunità periferica e rurale, nessuno si sconvolge per i rinvenimenti di ragazze brutalizzate, stuprate e uccise, talvolta persino conosciute di persona dagli inquirenti. Le forze dell’ordine si privano perfino della possibilità di sventare un omicidio ormai preannunciato a causa dell’indisponibilità di militari, impegnati in gran numero nella repressione di una manifestazione popolare. Tanto grottesco quanto sconfortante.
L’accostamento di detective profondamente differenti per approccio e provenienza non segue scontate dinamiche da buddy cop movie, bensì si muove su una duplice linea: quella evolutiva di Park Doo-man e quella involutiva di Seo Tae-yoon; il primo si rende progressivamente conto dell’inconsistenza della sua sbandierata abilità investigativa, il secondo perde l’approccio razionale e supportato dai documenti per abbracciare una via impulsiva e feroce. Due splendidi e speculari ritratti di soggetti fallimentari, interpretati ottimamente da Song Kang-ho (da questo film in avanti attore feticcio di Bong Joon-ho) e da Kim Sang-kyung, ben supportati nella loro centrale rivalità da Kim Roi-ha, già (intra)visto nei panni del barbone nel precedente “Barking Dogs Never Bite”.
Davvero pregevoli anche la fotografia di Kim Hyung-koo e la colonna sonora del giapponese Taro Iwashiro, che esalta le scene più tese con l’impetuoso rimbombare di tom e timpani. Grandissimo film con un doppio finale all’altezza, da riscoprire assolutamente e da porre (almeno) allo stesso livello di “Parasite”.

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