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Memorie di un assassino

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Memorie di un assassino

di maso
7 stelle

Non parlerei di thriller se dovessi inserire "Memories of murder" in una categoria, piuttosto un poliziesco atipico e antispettacolare che cerca di coinvolgere lo spettatore con i dialoghi e i dettagli raccapriccianti mostrati in maniera fulminea da Bong, con qualche scena d'atmosfera stemperata dalla sua risoluzione ed un racconto fluido ma dal ritmo blando che dopo una prima mezz'ora introduttiva abbastanza macchinosa ingrana la terza marcia fino alla enigmatica soluzione finale che concede spazio almeno a due ipostesi concrete ma nessuna certezza.

Nella comunità agricola di Gyunggi in Corea del sud avvengono una serie di delitti che hanno come vittime ragazze giovani, violentate e brutalizzate le malcapitate sono nascoste in luoghi angusti e limitrofi al bosco dove sono state aggredite.

Il detective Park, metodico e più incline all'investigazione, e il detective Cho, manesco e incline all'intimidazione intraprendono l'indagine ponendo l'attenzione sul microcosmo di una comunità ingenua formata da agricoltori e contadini tra i quali emergono disadattati e viziosi dalla sessualità contorta: maschi e femmine si aggirano nella campagna dove agisce il maniaco omicida come se niente fosse, come vittime predestinate o testimoni volontari.

L'indagine si sofferma proprio su questa bizzarra fauna di provincia con la quale anche il poliziotto di città Seo giunto a dar manforte dovrà confrontarsi, a contatto con i due poliziotti di provincia sembra avere più affinità con i metodi investigativi di Park ma nel momento cruciale l'irruenza di Cho sembra essere trasmigrata in lui. 

L'anno 1986 è certificato dai dettagli della nascente tecnologia del sol levante fra registratori a nastro magnetico, macchinette a scatto rettangolari e videogiochi arcade da due tasti e un joystick, l'indagine non sembra poter reggersi su questa traballante strumentazione tanto che gli indizi che incastrano o scagionano i sospettati sono del tutto aleatori e si basano sulla descrizione delle mani del maniaco che non cosrrispondono mai con quelle dei sospetti messi sotto torchio da Park e soci fino all'ultimo soggetto nel mirino dei tre detective che pur essendo sicuri di aver messo finalmente le mani sull'uomo giusto verranno smontati proprio da quella nascente e indiscutibile tecnologia che arriva dalla più evoluta America: se fino a quel momento ne avevano un gran bisogno ora sembrano maledirla proprio perchè non da campo a dubbi o interpretazioni e cancella una pista che sembrava concreta.

Bong sa il fatto suo e sceglie la strada della direzione a ritmi bassi, accellera appena nell'inseguimento con il pipparolo dalle mutande rosse e nel piovoso finale, per il resto non vuol proprio scimmiottare film come "Seven" o roba simile e si limita a raccontare la sua storia fatta di gente di campagna talmente ignorante da non presentarsi in ospedale dopo aver beccato un chiodo arrugginito in un polpaccio.

Le scene migliori che più rimangono nella memoria sono quelle dell'assassino in agguato, o in azione nella natura boscosa o coltivata dall'uomo, la notte è un alleato potente del brivido e la comparsa improvvisa dell'omicida in un frame istantaneo riporta a "Profondo Rosso" di Argento dove a film finito si sentiva l'esigenza di un fermo immagine che in quel frangente veniva suggerito dallo sviluppo della trama per sostenerla come valida mentre in questo caso è la soluzione aperta ed enigmatica ad invogliarci a tornare in quel preciso punto del film e dare un volto al colpevole.

Attori non sempre efficaci e come spesso accade nei film orientali un pò troppo ancorati a quella teatralità kabuki che non si confà al cinema.

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