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Notte italiana

Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Notte italiana

di yume
8 stelle

Mazzacurati mette in scena un Polesine freddo, grezzo, che non riconosciamo , “…uomini cioè, non cose e luoghi…” aveva già fatto capire Antonioni ponendo al centro la figura umana nell’ambiente che lo contiene, habitat presente come quinta di fondo di uno sviluppo drammaturgico esclusivamente umano.

Film di esordio, trenta anni fa, per la Sacher Film di Nanni Moretti, ancora il Delta padano è protagonista con gli uomini che lo abitano, come per Visconti, come per Antonioni e tanti.

Mazzacurati era figlio di quelle terre, il Veneto barbaro di muschi e nebbie che Parise, cittadino del mondo, amò da vicentino scegliendo la casetta rosa di Salgareda sul greto del Piave per i suoi ultimi anni e il suo capolavoro, i Sillabari.

 

Come per la Sacher anche per Mazzacurati fu un inizio, vinse il Nastro d'Argento al miglior regista esordiente e gli accadde, come ad altri grandi del nostro cinema, di scegliere questo set in cui natura e storia convergono a raccontare una storia dell’uomo difficile e semplice insieme, dove passioni e umori, smanie e ossessioni s’intrecciano come dovunque al mondo, ma dove può essere molto difficile che il ritmo della vita sia in grado di seguire il suo corso naturale.

Alluvioni e miseria, sfruttamento del lavoro e degrado ambientale come conseguenza del degrado morale, collusione fra politica e società civile, uno spettro troppo ampio della condizione umana si offriva all’occhio del Cinema perché si rinunciasse a guardarlo.

Inoltre, di tutti i set possibili in un Paese che è un teatro a cielo aperto in ogni suo angolo, questo era il più appartato, il meno conosciuto, non era il Sud della grande miseria italiana e non era il Nord della luminosa Serenissima lì a due passi.

 

Era un luogo di acqua e nebbia, di pescatori e mulini, difficile da attraversare, troppo brullo da guardare, un luogo di regole non scritte, dove quel che è un reato per le leggi dello Stato può smettere di esserlo perché la fame preme (la madre che trucca la macina ne Il mulino del Po per evadere la tassa sul macinato) o perché diventare fuorilegge può essere più facile che rispettare la legge.

 

Un avvocato di scarse ambizioni e specchiata dirittura morale (unica trasgressione giocare al flipper nel bar della periferia in cui abita), Otello Morsiani (Marco Messeri) viene inviato sul Delta del Po per stimare il valore di un terreno per conto di un politico del posto, tale assessore padovano Melandri (Tino Carraro).

Si tratta del patrimonio immobiliare Romanin e il progetto prevede la realizzazione di un parco naturale lì dove un tempo si estraeva fraudolentemente il gas.

Ora la terra sta sprofondando a causa dell’impoverimento idro-geologico pregresso e Morsiani dovrà risiedervi il tempo utile per i rilievi e le stime.

 

Assistenti nell’impresa geotecnica i Gemelli Ruggeri, breve sketch da slapstick del muto in uno scenario di ordinario squallore, dove la campagna malsana invasa dai piloni dell’elettricità, i capannoni industriali, i residui sparsi di macchinari obsoleti, il fiume che diventa palude e la terra acquitrino dove la macchina s’impantana volentieri, sono parti di un mondo dove di sole se ne vede poco e la notte, la notte italiana, avvolge volentieri di ombre e piogge scroscianti la miseria umana.

 

Morsiani avverte subito un paese chiuso in un silenzio omertoso, la sua estraneità di nuovo arrivato non diventerà mai inclusione e tracce sotterranee di segreti e trame inconfessate scorrono inquietanti: questo è lo scenario in cui imparerà a muoversi con il suo sguardo che da mite e bonario diventerà incredulo e perplesso fino alla coscienza piena quando, nella disperata sequenza finale, sotto la pioggia scrosciante e fuori da porte chiuse che nessuno gli apre, diventerà rabbia, bisogno di giustizia, comunque sia.

 

 

Te n’eri andato, il lavoro era finito, che t’ha preso di tornare? gli sbraita contro col fucile puntato il Tornova (Mario Adorf), ras della zona con lo stabilimento di polli di sua proprietà.

Curiosità, curiosità imbecille, risponde il Morsiani,fradicio di pioggia con la tanica di benzina per il serbatoio rimasto a secco sull’argine.

In macchina fra i due si decide la sorte.

Fucile puntato l’uno, alla guida l’altro, determinazione a simulare un incidente il Tornovo, paura il Morsiani :

Io non dirò a nessuno dei pozzi… Il Morsiani tenta una comprensibile trattativa, davanti alla canna del fucile c’è lui, dopotutto.

L’hai detto tu che non sai mantenere un segreto fa beffardo il Tornova.

Io non credo che si possa ammazzare uno così… la voce del Morsiani si spegne in un soffio.

Chi parla di ammazzare? Un incidente, come l’altro… La macchina va giù nel fiume…

La voce del Tornovo è tranquilla, quel che è già accaduto può riaccadere, il film si era aperto con un  bianco e nero d’altri tempi e la macchina dell’ispettore che finiva nel fiume finchè l’acqua si richiudeva su di lui per sempre.

Ora il cerchio sta per chiudersi, un’altra macchina farà la stessa fine.

Non è stato un incidente, sei stato tu … Otello Morsiani è un uomo semplice, senza ambizioni nella vita, ma per essere onesti non serve essere eroi, e della sua onestà lui non può fare a meno.

No, è stato Italo, a me è costato solo un sacco di soldi risponde cinico il Tornova.

 

 La terra che sprofonda solo per portare il metano alle tue pollerie, solo per risparmiare sul riscaldamento… La voce del Morsiani è di rabbia che diventa sarcasmo, è l’uomo sul limite, ora la partita è con la morte.

Un risparmio da poco! Più di cento milioni… fa il Tornova con il suo accento da ricco imbroglione della bassa Padana abituato a contar schei e fregarsene del mondo intero.

 

Morsiani ride, la decisone è presa, ma prima la favoletta di Esopo del rospo e dello scorpione in riva al fiume ci sta proprio bene e la racconta al Tornova:

 

Uno scorpione doveva attraversare un fiume, ma non sapendo nuotare, chiese aiuto ad un rospo che si trovava lì accanto. Dice lo scorpione: “Portami sulle spalle dall’altra parte, io non so nuotare.” Il rospo gli risponde “Fossi matto! Tu mi pungeresti appena siamo in acqua!” “Ma no, te lo giuro” incalza lo scorpione “Affogherei anch’io!”

E partono.

In mezzo al fiume lo scorpione punge il rospo che grida: “Pazzo, perché l’hai fatto?

E lo scorpione risponde :”Scusa, è più forte di me, è il mio carattere”.

 

Nel bar sotto casa, in città, c’è sempre quel flipper ma a casa, stavolta il nostro avvocato non è più solo.

E’ rimasto zoppo dall’incidente sul fiume, ma Daria (Giulia Boschi), col figlio dell’altro, ora è con lui.

Perché la vita è questo e altro, e fra un rilievo geodinamico e la scoperta di strani pozzi e misteriosi silenzi complici, mentre una visita alla polleria del Tornova lo avvolge in una nuvola di pulcini gialli, il Morsiani ha trovato anche il tempo di innamorarsi della bella benzinaia brusca e scostante, un amore di silenzi e mezze parole, di cadute in acqua fra i casoni di Sabbioneta e di risate davanti al fuoco acceso per asciugarsi.

Il passato di Daria, coinvolta a torto nell’accusa di aver gambizzato il Melandri, apre uno squarcio su quell’Italia delle P38, delle trame nere e rosse, delle prigioni del popolo e degli “attaccchi al cuore dello Stato” che fa da contrappeso a quest’Italia impoverita da secoli di abbandono e dove i modi dello sfruttamento hanno sempre trovato il modo di adeguarsi ai tempi.

Ma Daria non c’entrava con quella storia, era stata una ragazza libera negli anni in cui era facile illudersi su cose come libertà, amore, l’immaginazione al potere, pretendere l’impossibile, puntare alla Luna, ma con la lotta armata proletaria non c’entrava, ma aveva dovuto abbandonare la vita di sogni e libertà per mettersi a lavorare con un figlio rimasto in ricordo dei bei tempi.

 

Carlo Mazzacurati

La sedia della felicità (2013): Carlo Mazzacurati

 

Marco Messeri, attore di grande valore poco riconosciuto, più di una volta scelto con lungimiranza da Mazzacurati (Vesna va veloce e Il Prete Bello) dà al suo personaggio una misura perfetta.

Non bello né brutto, né alto né basso, né grasso né magro, fare un identikit di lui sarebbe un’impresa, uomo qualunque destinato all’anonimato perpetuo, incarnazione del perfetto anti-eroe da cui nessuno si aspetta che vada oltre il suo piccolo orizzonte di travet della giurisprudenza. Eppure ribalterà luoghi comuni e clichè consolidati, sarà l’eroe diegetico di un racconto di finzione che diventa ben presto lo spaccato dell’Italia reale.

Mazzacurati mette in scena un Polesine freddo, grezzo, che non riconosciamo , “…uomini cioè, non cose e luoghi…” aveva già fatto capire Antonioni ponendo al centro la figura umana nell’ambiente che lo contiene, habitat presente come quinta di fondo di uno sviluppo drammaturgico esclusivamente umano.

 

I suoi occhi chiari guardano disincantati il mondo ma non gli risparmiano ferite.

Diventerà l’uomo della frontiera, dimenticherà le “sudate carte” dei suoi studi e si sporcherà le mani per capire.

La palude polesana, non più luogo geografico, sarà la metafora di un Paese che cominciava ad affondare, la Notte italiana.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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