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Hammett - Indagine a Chinatown

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Hammett - Indagine a Chinatown

di Marcello del Campo
8 stelle

 
Hammett a Novel (1975) di Joe Gores è pubblicato in Italia nella collana “Il Giallo Mondadori nel 1979 con il titolo Hammett, cacciatore d’uomini [1], ottenendo un buon successo tra il pubblico degli aficionados del genere poliziesco. Si tratta di un romanzo di finzione basato sula vita di Dashiell Hammett. Licenziatosi dal’agenzie di investigazione Pinkerton, Hammett è in bolletta, confida molto sui proventi che potrebbe ricavare dalla pubblicazione imminente di Red Harvest (Piombo e sangue), il suo primo romanzo, a parte due racconti scritti per la rivista hard boiled “Black Mask” che sono stati rifiutati. Intanto, vive con la modesta cifra del sussidio e non è un gran vivere per lui che ama bere fino alla sbronza. Nel suo girovagare per San Francisco insieme all’amica Goodie, prende appunti per un romanzo che ha in mente che dovrebbe avere come sfondo proprio quella città. In quel momento gli si avvicina Vic Atkinson, un suo amico, un detective che sta investigando su un caso di corruzione in ambienti alti della città. Atkinson gli chiede di dargli una mano e coinvolge Hammett in un’indagine nel losco mondo degli affari.
 
Scrive Joe Gores nella nota finale di Hammett:
 
Con romanzi come Il Falcone Maltese e La chiave di vetro Samuel Dashiell Hammett (1894-1961) elevò il poliziesco hard-boiled, che aveva scoperto nelle riviste popolari, da forma minore di narrativa a vera letteratura. Come ci riuscì non è facile dirlo, tanto che, ancora oggi, la questione sembra confondere gli stessi studiosi di letteratura gialla.
E confonde anche me.
Perché Hammett, diversamente dagli altri collaboratori della rivista “Black Mask”, non cominciò come uno scrittore che dovesse imparare i ‘segreti’ dell'indagine poliziesca, ma era un detective privato che imparava a scrivere. Per otto anni, infatti, aveva lavorato per la Pinkerton Detective Agency come ‘operator’, investigato­re. Così, da scrittore, non fece altro che sfruttare le sue innate attitudini di cacciatore d'uomini.
Ho voluto scrivere un romanzo sii Hammett detective, proprio perché la sua esperienza di poliziotto privato risultò alla fine decisiva per la sua opera letteraria. Ma non è il detective quello che affascina i lettori: è Hammett il detective che diventa Hammett lo scrittore.
Scrivere richiede introspezione e comprensione, cose controprodu­centi e distruttive per il cacciatore d'uomini. Infatti, lo indurrebbero a vedere l'avversario, la sua ‘preda’, come una creatura umana vulnerabile, sofferente, e lui perderebbe così quella scorza emotiva che gli permette di sopravvivere come investigatore.
Mi sembrava che il 1928 offrisse eccellenti possibilità di provare narrativamente l'esistenza di questa tensione, e l'ho scelto per am­bientare il mio romanzo.
 
Il grande successo america­no di Hammett di Joe Gores è l’inizio di una Hammett-Renaissance, escono saggi, nuove edizioni dei romanzi. Poi la notizia: Francis Ford Coppola ha acquistato i diritti dell’opera di Gores e ha scelto Wim Wenders come regista. Meglio di così non è possibile: il nuovo cinema ame­ricano e il nuovo cinema tedesco.
Le premesse sono tali da indurre a manifestazioni di entusiasmo il produttore e il regista. Wenders afferma che ha in mente “un bel film in costume tardi Anni Venti, per metà girato in studio, che costa più di sette milioni di dollari. Faccenda molto nuova per me, ma non significa che continuerò a fare film di questo calibro, anche se adesso negli Stati Uniti sette milioni sono quasi un costo medio. È la storia d'un maturo detec­tive divenuto scrittore che smette di scrivere quando un vecchio amico lo coinvolge di nuovo in una investigazione che somiglia ai racconti di Hammett. Lui non è più un buon detective, e il film è tutto sulla diffi­coltà di tornare a investigare se uno ha la­sciato perdere per diventare scrittore.”.
Per Coppola il film “non racconta Hammett ma la sua immaginazione, l'esprimersi della sua creatività e il suo rapporto con i libri, la sovrapposizione e confusione tra vita e romanzo.”
In queste due testimonianze comincia già a farsi luce il diverso approccio dei due alla realizzazione del film e si prefigura il dissidio che sorgerà tra il ‘produttore-padrone’ e ‘l’amico americano’.
Wenders, in alcune interviste, fa capire lui non intende fare un film alla Coppola, dice che Hammett era un tipo molto appartato e lui vuole rispettare quella sensibilità ‘privata’, che il film è quindi sull'opera di Hammett e non una biografia dello scrittore. Il regista tedesco accenna a una storia sull’amicizia e lascia intravvedere come questa amicizia sia la stessa che lega lui, Wenders, con gli Stati Uni­ti, in una sorta di amore-odio verso la cultura americana.
Wenders. diversamente da altri registi eu­ropei (Antonioni, Herzog, Godard) che hanno rapporti con l'American Zoetrope, la casa produttrice di Francis Ford Coppola, per farsi produrre o coprodurre i loro film d'au­tore, non ha nessun legame con la casa produttrice di Coppola, in più, Hammett non è un'idea di Wen­ders il quale, da parte sua, non è un fan del mitico narratore americano.
Coppola aveva altro nella zucca, aveva acquistato i diritti del romanzo prima ancora che Gores lo scrivesse e la regia affidata a Wenders era una seconda scelta dovuta alla defezione di Nicholas Roeg che aveva accampato un sacco di scuse e si era defilato. Allora Coppola aveva pensa­to a Wenders, regista sensibile fino alla depressione, neo-romantico con predisposizione alla sehnsucht, amante dei classici noir americani, ecc.
Accordo fatto: Wenders affitta un appartamento a San Francisco, numero civico 891 Post Street, proprio quello dove Hammett viveva, quello vero, non quello ricostruito in studio per girare Il mistero del falco con Bogey. Wenders è così preso che visita le location dove Hammett ha messo piede, a Sausalito, il porto, Marin County, Chinatown. Studia la movimentata tragica vita di Ham­mett attraverso le foto, lista nera, arresto per mandato dei Comitato sulle attività antiamericane, McCarthy, caccia alle streghe, Hammett bellissimo come un dio-divo; accumula oltre una dozzina di script, chiede lumi a tre differenti sceneggiatori, escluso lo stesso Gores, – Dennis O’Flaherty, Thomas Pope e un maestro del sophisticated-thriller come Ross Thomas, insomma Wenders è in preda a furore mistico, deve pure far vedere al Padrino del cinema che lui fa le cose sul serio, senza dire che Coppola, prima di scucire i soldi deve chiederli a finanziatori che vogliono ‘i risultati’.
Lo scontro tra Coppola e Wenders diventa memorabile: è uno scontro tra opposte visioni ed esigenze, “… tra l'autore tedesco avant­garde, giovane regista-prodigio europeo, e la durezza del capitalismo americano.”, ricorda l’indimenticabile Lietta Tornabuoni.
Dopo le vicissitudini sulla sceneggiatura, nasce il problema ‘chi deve interpretare Hammett’. Nel bel film di Zinnemann del 1977, Giulia, basato sul racconto autobiografico di Lilian Helman Pentimento – Il tempo dei furfanti [Adelphi, 1978] era stato Jason Robards, allora cinquantacinquenne, un accettabile Dash, ora c’è Fred Forrest, mica una cima, - ha meno di trent’anni e una parte non di rilievo in Apocalypse Now, non è neppure bello, alto, affascinante, ma meglio di Robert De Niro che di Hammett non ha nulla e che Coppola vorrebbe ingaggiare. Del resto, Forrest ha appena finito di girare One From The Heart (Un sogno lungo un giorno) dello stesso Coppola, un mezzo flop ‘sperimentale’ in sale vuote.  
 Ma a tutto c’è rimedio, – va bene Forrest, non somiglia a Dash ma truccato, invecchiato, ripreso sempre a metà, ha una vaga somiglianza con l’ex detective. Fra parentesi, a parer mio, Forrest buca lo schermo, È HAMMETT, Wenders ha fatto il miracolo iconico.
Non finisce qui: Coppola si allontana sempre più dal progetto, il film è troppo intimistico, dove sono gli ‘spari nella notte’, lo avesse girato lui questo Hammett!
Wenders va avanti ma capita sempre qualche intralcio, questa volta sono i sindacati americani che impediscono l'im­piego di ‘lavoratori’ stranieri nel film. Wen­ders rinuncia con il cuore a pezzi ai suoi stretti col­laboratori, l'operatore Robert Mül­ler, il fonico Martin Müller, il musicista Jur­gen Knieper, il montatore Peter Przygodda.
Wenders ha le mani legate: ha deciso di girare il film in bianco e nero ma arriva lo stop della produzione, quelli non buttano i soldi, niente bianco e nero, al massimo concedono che ‘il tedesco’ assuma come direttore della fotografia il grande Joe Biroc, allora settantasettenne, all’epoca del muto aiuto di Griffith, notti di città criminali nei gangster-movie anni Trenta, al mirino per Aldrich e Ful­ler, un geniaccio che trasforma il colore saturandolo con una fotografia che dà su tonalità dagherrotipiche.
Wenders deve anche rinunciare ai suoi tempi lenti, il Capitale esige velocità, tempi di lavorazione tipo Tempi Moderni, – questa è l’America, se lo ficchi bene in testa il regista: ridurre i tempi di lavorazione, addensare il plot in una sola settimana del 1928, San Francisco è cambiata?, Chinatown pure?, allora, niente riprese in loco, costano troppo, si gira in interni, nei General Studios al 1040 di Las Palmas Avenue che Coppola ha acquistato da poco.
Dopo quattro anni e mezzo di travagliate vicende, interruzioni [Wenders gira nei tempi morti Lo stato delle cose], incomprensioni con i produttori, il film è finito.
Hammett è un mezzo fallimento al botteghino ma Wenders va dritto al cuore di chi ama Il grande sonno, Il falcone maltese, il vecchio caro hard-boiled in bianco e nero; è un film di ‘segni’ che penetrano nell’inconscio dello spettatore avvezzo al ‘genere’ con una robusta cura ricostituente che fa dimenticare le lacune del plot, facendo emergere, nella brumosa San Francisco le fisionomie di Peter Boyle, Elisha Cook, Roy Kinnear, Sylvia Sidney, i cameo di Sam Fuller e Ross Thomas; la colonna sonora di John Barry assicura il mood del tempo.
Non un capolavoro ma un Hammet-memorandum.
[1] Ripubblicato da Einaudi nella Collana “Stile Libero” nel 2005.

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