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Jailbait

Regia di Brett C. Leonard vedi scheda film

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La recensione su Jailbait

di OGM
8 stelle

Un piccolo incanto di realismo. Un gioiello opaco, offuscato dallo squallore di una piccola e sudicia cella carceraria, che la volgarità dei pensieri e delle parole cerca rudemente di tirare a lucido. Una volgarità che, peraltro, è striata di sensibilità, e quasi venata di poesia.  Parlare di sesso, usare termini coloriti ed assumere toni sguaiati è invocare una vita che è rimasta fuori dalla porta, in un mondo brutto, stracciato e cattivo, però infinitamente più umano di quel buco grigio e scrostato, in cui si è costretti a vivere gomito a gomito, sopportando i reciproci vizi ed odori. Randy (Michael Pitt, in una delle sue interpretazioni più intense ed originali), un ragazzo dal volto angelico, finito dentro per reati di poco conto, divide quel luogo angusto con Jake, un uomo maturo, condannato all’ergastolo per aver sgozzato la moglie con un coltello da cucina. I modi rozzi ed invadenti che questi usa nei confronti del giovane sembrano, a prima vista, un metodo per svezzarlo alla realtà della prigione: un’apparenza dietro a cui si cela, però,  una volontà del più forte di giocare col più debole, mettendone  a nudo le parti più vulnerabili. Randy soffre della situazione, ma in fondo un po’ ne gode, perché nel suo compagno trova un sostituto dell’autorità materna, da cui dimostra di essere ancora dipendente. Quell’assassino che legge molti libri e  dà buoni consigli incarna l’esperienza che infonde sicurezza; il suo equilibrio e l’ostentato distacco con cui guarda al suo infausto destino esercitano su Randy un fascino travolgente, fino a renderlo la vittima compiacente di un drammatico ménage sadomasochistico. L’evoluzione del rapporto è compressa nel tempo, come lo sono, forzatamente, i gesti compiuti in quello spazio ridottissimo: tutto risulta accelerato ed amplificato, in mezzo a quelle mura così anonime ed impenetrabili, che trattengono tutti gli echi sonori ed emotivi di ciò che, al loro interno, si fa, si dice o semplicemente si immagina. In questo modo il rimbombo della nostalgia si sovrappone a quello della rabbia, quello dell’amore perduto a quello del rancore, e solo il pentimento rimane escluso, perché la pena che si sconta non può essere accettabile senza un motivo che, giorno dopo giorno, continui a giustificarla. Randy è convinto che il costo dell’auto lussuosa che, con un’azione vandalica, ha danneggiato, valga bene i venticinque anni a cui è stato condannato; e Jake sostiene che il comportamento immorale della moglie non gli abbia lasciato altra scelta. Per entrambi, il presupposto su cui costruire una nuova forma di esistenza è la certezza che qualcosa di inevitabile è successo, mentre qualcos’altro è per sempre finito: Randy rimane inizialmente paralizzato di fronte a quest’idea, ed è proprio Jake, con le sue provocazioni, a metterlo in condizione di reagire. Tra quei due duri letti di metallo, addossati alle pareti, si consumano un tumulto di corpi ed un rimescolamento di anime;  ma quella lotta è un bene, anche se è vistosamente impari. La tensione infrange la noia e squarcia la solitudine, e la violenza, fisica o psicologica, praticata o anche solo tentata, diventa un modo tragico, ma profondamente autentico, di comunicare la propria segreta inquietudine. Jailbait è la struggente miniatura di un’intimità coatta, dentro la quale si  sperimenta un’inaspettata forma di libertà interiore: quella dei sentimenti più inconfessabili, che, paradossalmente, riescono ad uscire allo scoperto solo quando c’è una gabbia a proteggerli dal giudizio del mondo.
 
 
Questo è, sinora, l’unico film di Brett. C. Leonard, scrittore di teatro ed autore di serie tv.

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