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La voltapagine

Regia di Denis Dercourt vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La voltapagine

di Theophilus
10 stelle

LA TOURNEUSE DE PAGES

 

Film cupo, percorso da un’ira tutta interiore, tanto da farne una storia intimista. La voltapagine, presentato nella sezione Un certain regard a Cannes 2006, scorre tagliente, asciutto, lineare sul solco della poetica noir di Chabrol. Non solo per il tema trattato, ma soprattutto per il cinismo e la durezza quasi nichilista che si respirano nel film, il regista Denis Dercourt ci sembra anche essersi in parte ispirato a La pianiste, diretto da Michael Haneke nel 2001.

Nei titoli di testa, le immagini di una ragazzina che si esercita al pianoforte si alternano a quelle di carni meticolosamente tagliate, con fredda e precisa violenza, all’interno di una macelleria. È da subito espresso un dualismo che percorrerà tutto il film, quasi che il regista voglia indicarci come chiave interpretativa la strada di una doppia personalità della principale protagonista da ricercare nel DNA familiare.

La bambina si presenta davanti ad una commissione presieduta da una nota concertista. Poco dopo esce dall’aula in cui ha svolto la sua prova, le lacrime che le bagnano appena un viso duro e sconfortato. Poco oltre vediamo una giovane donna partecipare ad uno stage in uno studio di avvocatura. Cerca di farsi benvolere e si offre di prendersi cura del figlio del titolare per un periodo di alcuni giorni in cui entrambi i genitori dovranno assentarsi.

Il destino dei protagonisti corre verso un esito inesorabile di cui si è subito coscienti. Ma la prevedibilità dell’evoluzione della storia non ne pregiudica per nulla l’interesse. La tensione rimane stabile perché non emana dall’intreccio, ma è costruita sul rapporto di sudditanza psicologica che s’instaura fra le due interpreti del film. Il perverso rincorrere una sorta di risarcimento morale, di cui una delle due ha fatto una ragione di vita, viene perseguito con spietata e calma determinazione. La fragilità dell’altra si presenta allo spettatore come concausa di un qualcosa già scritto, perché sembra voler spianare alla prima l’accesso ad una nemesi a cui abbia diritto. Più che ad una rappresentazione sadica ci pare di assistere al sacrificio di una vittima designata che non può sfuggire al suo destino. La tensione nasce proprio dallo stentare a credere che si possa andare così avanti nel voler perseguire i propri scopi. Il carnefice della storia è una sfinge con il volto di un angelo, quasi lo strumento di una volontà altrui. Tutto si attua perfettamente, infatti, in questo thriller psicologico. Non c’è posto per l’errore. Lo svolgimento lineare, la logica interna stringente sembrano non potersi conciliare con la suspence. È allora il senso di pietas che nasce nei confronti di una persona indifesa che può far scattare la molla della partecipazione emotiva. La vendetta è un piatto che va consumato freddo. Non ricordiamo di avere visto rappresentata così compiutamente tale massima in altra occasione: proprio per questo vi abbiamo scorto la volontà del regista di mettere in scena un dramma che intenda sfidare il concetto di libero arbitrio.

Maiuscola l’interpretazione di Catherine Frot nel ruolo della pianista. Efficacissima la maschera imperturbabile di Déborah François a rendere un personaggio quasi sulfureo. Interessante anche la prova di Pascal Greggory, che aveva già sostenuto un ruolo simile – anche se di gran lunga più importante in quella circostanza – in Gabrielle, diretto da Patrice Chéreau nel 2005.

 

THEOPHILUS

20 febbraio 2007.

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