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Un po' per caso un po' per desiderio

Regia di Danièle Thompson vedi scheda film

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La recensione su Un po' per caso un po' per desiderio

di Aquilant
6 stelle

Un po’ per caso, un po’ per desiderio personale, è d’obbligo riportare due stralcetti di critiche in netta antitesi tra loro:
“IL LAVORO DEI THOMPSON SI CARATTERIZZA PER L’ASSOLUTA MANCANZA DI SENTIMENTALISMO E PER L’EQUILIBRIO PERFETTO (…FORSE TROPPO) TRA DRAMMA ED IRONIA. L’UNICO DIFETTO DI QUESTA COMMEDIA CORALE È PROPRIO L’ECCESSIVA ASCIUTTEZZA CON CUI IL TUTTO È MOSTRATO E RACCONTATO” (Leo Pellegrini, Cinemaplus).
“UNA SCENEGGIATURA MOLTO DEBOLE CHE FA LARGO USO DI SENTIMENTALISMI E STEREOTIPI. LA MORALE DI FONDO È CHE IL LUSSO VA VISSUTO SOLO COME SOGNO, POICHÉ LA VERA RICCHEZZA RISIEDE NEI RAPPORTI UMANI.” (Marco Santello, Cinema 4 Stelle).
At ubi veritas? Se poi queste “Fauteuils d’orchestre”, ovvero “Poltrone d’orchestra” (il titolo italiano è stato ancora una volta inserito a sproposito ed il plurale nel caso in questione non è affatto usato in modo improprio perché pur sempre di un’opera corale si tratta), pecchino eccessivamente di sentimentalismo oppure ne siano del tutto scevre non ci è dato esattamente di sapere (ma ne riparleremo brevissimamente alla fine).
Questo perché le capacità di giudizio degli umani, che in fondo siamo noi, appaiono sempre estremamente variegate a seconda delle varie esperienze emozionali che vanno ad instaurarsi in stretta simbiosi con un’opera a sua volta variegatissima, almeno sulla carta, in quanto a situazioni, personaggi e filosofie vitali.
Ovviamente si tratta pur sempre di una commedia d’oltralpe, a sua volta in netta antitesi con quella italiana del (cattivo) momento, a tratti di grana alquanto grossa (Neri Parenti docet) e che in effetti si guarda bene dal fornire filosofie esistenziali da fotoromanzo.
Ma probabilmente invisa, per tale preciso motivo, ad un certo pubblico che purtroppo di prodotti cinematografici transalpini, e per giunta a carattere intimista, non ne vuol proprio sapere, infischiandosene di conseguenza dell’intera cinematografia del grande Rohmer, che per quanto lo riguarda è come se non fosse mai esistita.
Ma per tornare al film in questione, che di polemiche sterili ne abbiamo già piene le tasche, e premettendo che il capolavoro non sta affatto di casa da queste parti, tutt’altro, giova però rilevare come la freschezza interpretativa di un manipolo di interpreti completamente a loro agio nella rappresentazione di un microcosmo in sotterraneo fermento incentrato nel prestigioso quartiere dell’Avenue Montaigne a Parigi riesca a colpire nel giusto segno e regalarci un’operina tutto sommato dignitosa, portata a giusto compimento con delicatezza e moderata ironia dal tocco femminile di Danièle Thompson, già autrice di un “Pranzo di Natale” passato pressoché inosservato da queste parti. Ed in tale frenetico avvicendarsi di personaggi pervasi da presunte insoddisfazioni esistenziali e desiderosi di pervenire ad ogni costo ad un preciso traguardo nella vita, vero e proprio giro di vite sospese in attesa di un fatidico diciassette che porterà loro fortuna, spicca per stridente contrasto l’aggraziata figuretta della sorprendente Cécile De France nei panni di Jessica, che ricorda smaccatamente nel look facciale la Jean Seberg di quel “a bout de souffle” di godardiana memoria, già vista nell’”Appartamento spagnolo” ed in “Bambole russe”, vera e propria presenza catalizzatrice all’interno di un meccanismo filmico che mostra di tanto in tanto qualche pecca e qualche buco di sceneggiatura, ad esempio la malattia dell’anziano Jacques, famoso collezionista d’arte, trattata di sfuggita ad onta della sua fondamentale importanza ai fini di una precisa caratterizzazione del personaggio.
Da notare come per tutta la durata del film la povera Cécile sia stata costretta dalla regista ad indossare sempre il medesimo capo di abbigliamento, peraltro alquanto dimesso, a dimostrazione che a volte la vanità maschile supera di gran lunga quella femminile.
Basti pensare all’immodesto Hugh Grant di “American dreamz” che nel corso del film sfoggia platealmente da perfetto figurino, per la delizia delle sue fans, una moltitudine di camicie all’ultima moda.
“In un film i personaggi si amano,” ha dichiarato la stessa Thompson, “cambiano punto di vista, cambiano vita nel giro di un paio d’ore. Questa intensità fa parte della gioia dello spettacolo.”
Una gioia che viene riprodotta soltanto in parte sullo schermo a beneficio dello spettatore e ci comunque fa considerare questo film alla stessa stregua di una refrigerante spruzzata di buonumore in un assolato e canicolare pomeriggio estivo e niente più.
E per finire, il match fra “ASSOLUTA MANCANZA DI SENTIMENTALISMO” e “LARGO USO DI SENTIMENTALISMI E STEREOTIPI?” finisce 1 a 1, un po’ per caso, un po’ per desiderio di equità. Tana “contenti” tutti quindi, perché “liberi” già lo siamo. O NO?

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