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I guerrieri della notte

Regia di Walter Hill vedi scheda film

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La recensione su I guerrieri della notte

di SamP21
9 stelle

Con questo film Walter Hill realizza il suo capolavoro, girato proprio in un periodo fecondo, in cui realizzerà perlomeno cinque film da consegnare ai posteri.

E allora cosa dire su The Warriors? Obbiettivamente è stato detto molto, tanto, mai troppo, di un film perfetto o quasi. Hill, in un sol colpo, porta alcuni scenari western, il conflitto sociale, le difficoltà dei giovani degli anni’ 70, la situazione apocalittica e il film d’azione in un’altra dimensione, in un posto mai visto prima ed esplorato da molti negli anni a seguire.

 

La trama in breve:
New York, 1979. Cyrus, leader carismatico della gang più agguerrita della città, convoca, in pieno Bronx, una convention notturna delle bande giovanili della città. L’obiettivo è proclamare una tregua delle guerre continue che pongono le gang una contro l’altra e coalizzarsi per mettere sotto scacco l’intera New York. Durante il meeting qualcuno spara al potente Cyrus. La colpa dell’omicidio ricade sulla banda di Coney Island, i Warriors. Le altre gang scatenano, allora, una spettacolare caccia all’uomo, mentre i nove “guerrieri” tentano di tornare nel loro territorio.

 

Nel contaminare i generi, addentrandosi nel post-classicismo, Hill e soci realizzano un film sensoriale, in cui inseriscono anche un aspetto favolistico/d’animazione; a cominciare da quell’introduzione dei personaggi che farà storia.

I nostri eroi devono affrontare una serie di sfide, come in ogni favola che si rispetti, come in ogni film d’azione; e le sfide sono via via sempre più proibitive. Nel frattempo Hill e Shaber ci raccontano la città, attraverso i personaggi, i protagonisti in primis, ma anche tutti i nemici che incontrano.

 

The Warriors si pone come confine sotto molti aspetti: interni alla storia del Cinema, al racconto dell’attualità dell’epoca, ma anche al cinema di Hill stesso. Il nichilismo e la voglia di cambiare il mondo dei giovani del ’68 ormai non è neanche nei meandri più oscuri della mente dei ventenni del ’79; la disillusione è totale, ce la si può cavare solo formando piccoli branchi, piccoli nuclei fra simili e difendersi attaccando il mondo circostante.

 

The Warriors spalanca, forse insieme al coevo Mad Max, le porte per un cinema post-apocalittico, prendendo da Carpenter alcuni aspetti dell’epocale Assault on precinct 13 e anticipando, tra gli altri, l’altrettanto epocale 1981: Escape from New York e tutto un genere che prolifererà per anni ed anni, anche in Italia tra l’altro, con un sottogenere non privo di interesse.

 

Non siamo certamente di fronte ad un trattato di sociologia. Hill pensa ad altro, e pensa al cinema, a cosa ci colpisce. In questo film, come in altri, si concede in maniera egregia di omaggiare uno dei suoi maestri, ovvero Sam “bloody” Peckinpah, citato in varie scene di scontro, vedi la lotta nel bagno. Ci emoziona continuamente con questa corsa contro il tempo, con questa topografia di una città dove regna il caos.

 

L’azione è eccezionale, gli scontri con alcune bande sono entusiasmanti ed elettrizzanti, la colonna sonora di Barry De Vorzon segue passo-passo l’evolversi della forsennata corsa verso casa.

 

C’è un aspetto fondamentale che va ricordato e che viene racchiuso soprattutto in un incontro-scontro, circoscritto ad una scena precisa. Parliamo del confronto con la ragazza degli Orphans, nei cui dialoghi a seguire c’è tutto il mondo di cui parla il film: quel senso di vuoto, quella necessità di muoversi per non sentirsi perduti e senza alcuna speranza. In fondo il personaggio della ragazza è la causa di uno scontro evitabile, il seme della discordia, in cui si apre una parentesi che il film lascia sempre nel fondale ma che rimane importante.

 

A suggellare queste sensazioni, questo scoramento generazionale, c’è una scena che da sola varrebbe tutto il film, anche e forse di più di quelle d’azione. Mi riferisco al momento finale, quando Coney Island è vicino ormai, qualche amico si è perso,e i Guerrieri sono nella metro, ormai distrutti … Swan e Mercy (e sul nome del personaggio potremmo dire molto) sono uno affianco all’altro, sfiniti e senza molta voglia di dire o fare nulla. Ebbene, proprio in quel momento in cui entrano nel vagone due coppie, vestite a festa, felici, sprizzanti di gioia, lo scambio di sguardi successivi al’attimo in cui questi si siedono di fronte ai protagonisti, è un qualcosa di raggelante. Hill ci mostra dai piedi alla testa i due personaggi, che nella loro usura e sporcizia rappresentano l’espressione di una gioventù che sembra non avere più nessuna speranza, se non quella di combattere per due metri, con dall’altra parte un altro mondo.

 

Hill poi procede nella sua direzione, la società è presente ed è raccontata anche attraverso le gang, anzi forse di più.

The Warriors è diventato una pietra miliare, un termine di paragone, un termine del vocabolario, un videogioco ecc.…

Ma è soprattutto un film che si può definire unico, eccezionale negli esterni (come i grandi western) ma anche negli interni (vedi la scena con la gang femminile), sostenuto da un ritmo senza pari; insomma un punto di riferimento per i cineasti a seguire, ricco di rimandi, di furti d’autore, ma pieno di un cinema che guardava al futuro, anticipandolo da una parte e incorporando quello che c’era stato prima, nel genere (western, azione) ma non solo (vedi Arancia meccanica).

 

Hill, cresciuto negli anni ’50, ricorda bene il livore della generazione rappresentata nel cinema da Dean-Brando-Clift e poi Newman; anche quello è un riferimento per il film ovviamente attualizzato al’ 79. Ci sono poi i testi greci alle spalle, con i quali Hill riesce a realizzare un mix post-classico, aprendo, insieme ad altri, l’era moderna del genere dove forma e sostanza vengono plasmate da tanti riferimenti nell’idea di reinventare i generi.

 

La nota finale la dedico ad un aspetto puramente personale, che riguarda il mio rapporto con questo film. The Warriors ha fatto parte della mia adolescenza e mi ha accompagnato fino agli anni dello studio universitario del cinema. Ho goduto anche nell’usare il videogioco di inizio anni ’00, ma per qualche anno non l’ho più visto. Ricordo anche molto bene una lezione universitaria del corso di mediologia, in cui si faceva l’analisi mediale e topografica della struttura del film. Pur non vedendo per anni, l’ho sempre tenuto ben stretto, in un angolo dei film amati da sempre, e rivederlo dopo tempo ed ammirare la sua assoluta freschezza, ancora oggi e dopo oltre dieci visioni e quattro decenni dall’uscita, vuol dire vedere ancora la sua capacità di unire forma e sostanza veicolando messaggi; eppure, rimane l’emozione dello spettatore, sotto tutti i punti di vista.

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