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La guerra lampo dei fratelli Marx

Regia di Leo McCarey vedi scheda film

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La recensione su La guerra lampo dei fratelli Marx

di Aquilant
8 stelle

E se ad un primo ministro nuovo di zecca saltasse il ghiribizzo di impostare il suo nuovo programma politico sul divieto assoluto di fumare, fischiare, raccontare barzellette e masticare gomma americana? Una cosa è certa: il popolo non gli negherebbe comunque l’appoggio generale. Infatti Rufus T. Firefly ha le spalle ben coperte e può permettersi questo ed altro. Ogni volta che si trova a malpartito con le scartoffie gli è sufficiente schioccare le dita: “Il rapporto è chiaro, anche un bambino di quattro anni lo capirebbe. Mandatemelo subito a chiamare!” Oppure negli incontri galanti con l’amata signora Teasdale gli è lecito esprimersi in una maniera ben poco ortodossa: “Mi giudicherà un vecchio sentimentale, ma…le dispiace darmi un ricciolo dei suoi capelli?” ”Un ricciolo dei miei capelli? Oh, non l'avrei mai pensato…” “Bè, per la verità stavo per chiederle tutta la parrucca.”
Può perfino permettersi il lusso di rifiutare una proposta di pace: “Troppo tardi. Ho già pagato un mese di affitto per il campo di battaglia!” E quando gli suggeriscono di scavare delle trincee perché la sua nazione rischia di perdere la guerra, risponde per le rime: “Non c’è tempo. Le trincee le compreremo già fatte!” Ed in quanto a giochetti mentali: “Piccolini, dimmi un numero da 1 a 10!” “11!” “Esatto!”
Rufus T. Firefly, ovvero Groucho Marx, è logorroicamente posseduto dalle sue gags verbali mozzafiato, dai suoi destabilizzanti nonsense, dai suoi apodittici vaneggiamenti che si susseguono senza tregua, tutti tendenti all’annichilimento mentale dello spettatore, con conseguente scardinamento di ogni logica precostituita e con una simultaneità, una costanza ed un senso del ritmo che non hanno eguali nella storia del cinema comico.
Si assiste ad un autentico trituramento di tipo anarcoide dell’uso precostituito della parola in sé che una volta estrapolata dal suo contesto, alla stessa maniera del trattamento che Magritte riserva agli oggetti, appare totalmente avulsa dal suo usuale contesto e viene rimessa in gioco in maniera totalmente arbitraria, assumendo sensi e sfumature totalmente inediti fino a sfiorare frequentemente l’assurdo.
Date tali premesse, la trama costituisce unicamente il pretesto per spianare la strada agli incontenibili fratelli che si dividono i compiti con innato senso di cameratismo. E se Groucho se la spassa senza ritegno a snocciolare le sue arrembanti freddure a raffica, Chico ed il mirabolante Harpo scelgono di esprimersi con una gestualità dirompente che disorienta di continuo lo spettatore proprio per il suo esclusivo carattere d’imponderabilità.
La spassosa coppia è lasciata a briglia sciolta ancor più che in altre occasioni, grazie anche a Leo MaCarey, erede della slapstick-comedy sennettiana, che almeno in due sequenze, quella del venditore ambulante e quella spassosissima e surreale dello specchio inesistente, costruisce dei momenti indimenticabili di comicità da tramandare ai posteri, con tutti gli ingredienti tipici del cinema muto. E non a caso stavolta lo spazio maggiore è riservato proprio al silenzioso Harpo armato delle sue forbici castigamatti, che si produce altresì in diversi di spunti esilaranti degni della più nobile tradizione surrealista.
Forse i momenti meno felici sono da attribuire ai siparietti musicali, peraltro meno numerosi che altrove, che oltretutto rischiano talvolta di spezzare il ritmo della narrazione. Ma lo sguardo in soggettiva di Groucho che, assolvendo ad una funzione extradiegetica, in più di una occasione si rivolge direttamente alla macchina da presa sfondando lo spazio verso l’esterno e rendendo complice il pubblico dei suoi ammiccanti sproloqui, contribuisce a conferire alla pellicola una patina di modernità. Film dotato di una forte carica dissacrante nei confronti di un mondo a cavallo tra due conflitti deflagranti. Ed assolutamente indicato come antidepressivo.





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