Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Tolte una struggente fotografia e le stupende musiche di Penderecki, ben poco resta di questa lentissima opera giovanile di Sokurov.
La voce solitaria dell'uomo è quella che dovrebbe levarsi per suggerire a Sokurov di fare mostre di fotografia anziché film. Opera prima per il cineasta 'da festival' per eccellenza (almeno tra quelli Europei), il cui concetto di cinema passa per il rallenty, inteso però non solo come escamotage tecnico per mettere in risalto una data situazione, ma piuttosto come rallentatore generico di una realtà che evidentemente -per Sokurov- va sempre e comunque a mille all'ora. Ora, io detesto il montaggio videoclipparo che tanto di moda sembra andare nella Hollywood odierna. Lo detesto perché non permette di apprezzare la bellezza (o la bruttezza) delle immagini, frullando colori, odori e sapori come fanno da McDonald's. Su questo punto do ragione a Sokurov e al suo cinema. Ma ci sono limiti. È possibile, con eccelsi risultati, inserire in un film, che so, un lunghissimo piano sequenza e/o una lenta serie di lunghi primi piano sulla più completa inazione. Quello che non è però possibile è ammassare 90 minuti di pellicola così, dal primo all'ultimo. Essere 'autoriali' (aggettivo snob già di suo) è passato con gli anni a significare non più fare cinema impegnato, non banale e non necessariamente commerciale, ma bensì produrre cose noiose e indigeste ad uso e consumo di ventidue intellettual(oid)i di numero che ne disquisiranno poi per ore, tessendone le lodi, dimenticando però che il cinema (l'arte in genere) è prima di tutto emozione. E io sfido chiunque a dirmi che si è emozionato guardando “La voce solitaria dell'uomo”. Belle solo la fotografia, campo questo in cui Sokurov è maestro, e la colonna sonora (anch'essa usata con parsimonia) di Krzysztof Penderecki.
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