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Mission: Impossible 3

Regia di J.J. Abrams vedi scheda film

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La recensione su Mission: Impossible 3

di lussemburgo
8 stelle

M:I:III termina esattamente laddove la saga quinquennale di Alias prende le mosse, ovvero nella rivelazione alla persona cara (la moglie, il fidanzato) da parte del protagonista della propria appartenenza ad un’agenzia segreta. Ma per Sydney Bristow questa confessione è il preludio alla tragedia e ad un turbine di travestimenti e doppi giochi incrociati, mentre per Ethan Hunt lo svelamento diventa l’ipotesi di nuova vita, più serena ed equilibrata. Effettivamente ci sono consonanze tra le due opere di Abrams, per l’elemento spionistico, la presenza di un forte coinvolgimento affettivo e familiare da parte dell’eroe, l’accento posto sull’azione.
Con la regia di Abrams, la serie cinematografica interpretata da Cruise compie un definitivo cortocircuito con il mondo televisivo da cui aveva preso le mosse. Il primo film iniziava come una puntata della vecchia serie, ma la squadra della IMF veniva massacrata e lasciava spazio all’unico protagonista, l’agente Ethan Hunt, cane sciolto impegnato a salvarsi dall’accusa di tradimento. Annullando il tratto caratteristico del lavoro di squadra, Cruise faceva del marchio “Mission: Impossibile” un veicolo divistico ad uso esclusivo. John Woo, nella seconda missione, si limitava a ricoprire dei suoi cliché visivi un plot hitchcockiano rubato a piene mani dalla trama di Notorius per consacrare l’agente Hunt come versione americana e sportiva dell’anziano agente 007. L’operazione di Abrams, com’è tradizione degli autori televisivi di nuova generazione, si confronta consapevolmente con le puntate cinematografiche precedenti (citandole) e, al contempo, riporta al suo alveo l’intera serie reinserendo una struttura di squadra derivata dal serial originale in cui ogni componente ha un ruolo vitale nella riuscita complessiva della missione. Inoltre, Abrams ibrida questo recupero con elementi innovativi provenienti dall’esperienza di Alias.
Il marchio “autoriale” si situa prevalentemente a livello della concezione, dell’idea-base piuttosto che nella realizzazione registica, secondo il modello televisivo in cui il creatore del concept è l’autore della serie, declinata nei singoli episodi con i contributi di diversi registi, tutti però fedeli allo schema imposto dal pilot. La regia di Abrams è efficace nel seguire il livello adrenalinico della vicenda, ma non si impone per scelte stilistiche evidenti (differenziandosi quindi notevolmente da De Palma e Woo). Rispetto a molti film d’azione recenti, i tempi morti sono soppressi e gli sviluppi psicologici sono solo accennati, sufficienti a creare compartecipazione, ma senza il pericolo di risultare narrativamente digressivi.
Polarizzato in ambito familiare, M:I:III si permette ironiche infrazioni al genere d’azione. Il nemico (Philip Seymour Hoffman) è una figura elusiva, pericolosa ma indefinita, un deus ex machina narrativo che non si impone personalmente ma per gli ostacoli che interpone al conseguimento del lieto fine. La lotta tra l’agenzia statale e il nemico di turno verte sulla “Zampa di coniglio”, un’arma la cui natura rimane un mistero (come la sostanza quasi esoterica dei manufatti di Rambaldi in Alias), probabilmente un’arma biologica, sicuramente un McGuffin che offre un valido pretesto motorio per l’azione. Il film approfitta dell’andamento cospiratorio tipico di Alias, in cui nessuno è mai ciò che sembra, per veicolare un messaggio politico, di critica della connivenza con il nemico (vendere un’arma ad un paese per poterlo accusare di possederla e procedere con le ritorsioni militari) allineando anche M:I:III alle recenti tendenze cinematografiche di critica all’establishment e all’“American Way of Intelligence” (Syriana, Good Night and Good Luck, ecc.) in cui i contorni della morale e dell’interesse, personale o nazionale, si confondono pericolosamente. M:I:III di Abrams per certi versi rifonda la stessa serie di Mission: Impossible versione Cruise, creando per il personaggio nuove prospettive di sviluppo e di approfondimento, si propone quasi come un inedito pilot cinematografico di una nuova serie a venire, più densamente articolata delle precedenti singole puntate.
M:I:III non è però un inquietante ibrido cine-televisivo, bensì un ottimo film d’azione strutturato sull’efficacia delle serie contemporanee, un passo avanti nell’evoluzione della convergenza tra i due mondi, che poi separati non sono.

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