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5 corpi senza testa

Regia di William Castle vedi scheda film

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La recensione su 5 corpi senza testa

di maghella
8 stelle

Negli anni '60 ha avuto molto successo un genere di film che non era solo giallo che non era solo horror, ma che aveva la capacità di miscelare le due cose con risultati notevoli, anche nei film di produzioni più scarse, chiamati in seguito B-Movie, che tanto successo di pubblico riscuotevano al botteghino prima e alla televisione in seguito. Il capostipite di questo genere è sicuramente il capolavoro di Hitchcock “Psyco”, ma altri titoli hanno avuto ottimi risultati, e soprattutto hanno avuto come protagoniste attrici di calibro come Bette Davis o Joan Crawford: “Piano piano dolce Carlotta”, “Che fine ha fatto Baby Jane?” oppure questo “5 corpi senza testa” di William Castle, con Joan Crawford.

 

William Castle, che negli anni '50 aveva diretto molti western, negli anni '60 “cavalca” l'onda del successo di “Psyco” e gira un paio di film giallo-horror molto convincenti, suo è anche “Passi nella notte” con Barbara Stanwyck.

In bianco e nero (almeno la versione in dvd uscita ora a marzo che ho comprato io), con un inizio narrato da una voce femminile fuori campo, che illustra il motivo per cui Lucy (Joan Crawford) è stata arrestata e rinchiusa per vent'anni in manicomio, dal quale sta per uscire per raggiungere la figlia adottata da suo fratello con la moglie. Lucy aveva sorpreso il marito più giovane di lei, nel letto coniugale con l'amante. In preda ad un raptus di follia decapita i due traditori con una accetta, tutto davanti agli occhi della piccola figlia.

E davanti agli occhi di noi spettatori, che così siamo testimoni di una delle scene più cult della storia cinematografica: Joan Crawford che con l'accetta in mano, un ghigno feroce sul viso, senza pietà si fà giustizia: la scena gioca sulle luci e sulle ombre e sulla grande intensità dell'attrice americana.

 

 

All'inizio del film, la voce fuori campo presenta Lucy: “Nata e cresciuta in campagna, genitori contadini, istruzione scarsa, ma intensamente donna e profondamente convinta di esserlo, quando Lucy arriva alla fattoria del fratello dopo vent'anni di manicomio è una donna provata, invecchiata, impaurita, desiderosa di recuperare un rapporto con la figlia che non ha più rivisto. Figlia e madre trovano nuovamente il loro affetto, la figlia Carol (una brava Diane Baker) cerca di mettere la madre a proprio agio, le compra vestiti e gioielli e una parrucca mora, che la ringiovanisce quasi a farla ritornare la donna affascinante di una volta. Lucy però è ancora turbata da strane filastrocche che sente nei momenti più inopportuni, da incubi di teste mozzate, e quando riceve la visita inaspettata del medico che l'aveva in cura, Lucy ha una seria crisi di nervi. Immediatamente ricominciano strani casi di sparizioni di persone a lei vicine.

 

 

Non dimentichiamo che questo film segue, come ho detto all'inizio, la falsa riga di storie più famose, che già ci avevano insegnato a non fidarci delle apparenze, che ciò che appare buono e onesto in verità nasconde perfidia e follia (grande Olivia de Havilland, la buona per antonomasia, in “Piano, piano dolce Carlotta”). In effetti il mistero di questa storia, proprio per noi ormai avvezzi a certi trucchi narrativi, regge poco. Regge tutto la bravissima Crawford, che qui dà prova di grande interpretazione, di rivalsa matura, sempre bella, forse anche kitch, ma riesce a mantenere il film in piedi anche nelle parti che vacillano nella sceneggiatura.

Ottime alcune trovate di regia, una su tutte un camerino che imprigiona Lucy, dove la tappezzeria a righe diventa una sorta di gabbia con tanto di sbarre... una porta si apre e si capisce finalmente che non ci si trovava all'interno di un incubo della protagonista, ma piuttosto di una illusione architettonica che ben rappresenta lo stato d'animo di Lucy.

 

 

Il finale è tagliato con l'accetta (passatemi la battuta macabra), spiegato alla meglio, non soddisfa a pieno tutte le domande e le aspettative che il film aveva alimentato, ma questo fa parte anche dei B-Movie, che non hanno la pretesa di essere esaurienti in tutto e per tutto, ma che hanno avuto il pregio di rivalutare “vecchie” glorie del buon cinema americano che altrimenti venivano lasciate in disparte, vecchie glorie che negli anni '70 hanno dovuto addirittura espatriare all'estero (molte in Italia, come Joseph Cotton o Shirley Winters, tanto per fare un paio di nomi) per continuare a lavorare.

Quando Joan Crowford aveva girato questo film, aveva da poco tempo sposato il presidente della Pepsi Cola, la sua carriera cinematografica era alla fine, avrebbe interpretato solo altri tre film, due horror e un thriller di William Castle “Gli occhi degli altri”, che cercherò di recuperare.

Umorismo macabro (che tanto mi garba), alla fine, dopo i titoli di testa, il logo della dea della Columbia appare decapitato, con la testa ai piedi, un film da vedere sino alla fine.

 

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