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I fantasmi del cappellaio

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I fantasmi del cappellaio

di hupp2000
8 stelle

Voto 10. Simenon-Chabrol-Serrault: era lecito attendersi una perla cinematografica e questo film lo è. Come spesso accade, Chabrol ci trasporta nella provincia francese, questa volta in una cittadina della Bretagna. Un rispettabile cappelliere, Léon Labbé (Michel Serrault), ha ucciso la propria moglie e, un po’ come Norman Bates in “Psycho”, vive accanto ad un fantoccio di pezza coltivando l’illusione che la consorte non sia morta. Fin dalle prime scene, l’autore (del libro come del film) ci rivela che siamo di fronte non solo ad un pazzo, ma anche ad un serial killer, che ha ucciso tutte le ex-compagne di scuola della defunta moglie, annunciando puntualmente alla stampa locale le sue intenzioni. In paese, nelle case, nei bistrots o al mercato, non si parla d’altro. Il nostro ascolta divertito i discorsi della gente e, di tanto in tanto, dice anche la sua sulla tenebrosa vicenda. Di fronte alla bottega del cappelliere, lavora un sarto armeno (Charles Aznavour), che ha assistito al penultimo omicidio del suo dirimpettaio. Troppo preoccupato di conservare la stabilità sociale, lavorativa e famigliare che è riuscito a costruirsi dopo un’odissea che lo ha condotto dalla nativa Armenia in Francia, non ha alcuna intenzione di denunciare chicchessia e diventa quasi un confidente riservato e silenzioso del nostro inarrestabile assassino in serie. Quando il sarto muore a causa di una banale polmonite, il cappelliere subisce un tracollo psicologico e si lascia smascherare senza opporre resistenza. Fin qui la trama. Michel Serrault incarna il suo personaggio con una bravura che stordisce. Schizofrenico perfetto, appare affabile e dignitoso con gli altri notabili del luogo, compagni pressoché quotidiani di bridge nel bistrot locale; ridacchia e borbotta tra sé e sé nei momenti di solitudine; con la moglie-fantoccio interpreta, al limite del virtuosismo, alcuni monologhi grotteschi ma in fin dei conti tristi, battute leggere in cui si insinua un senso di isolamento e di disperazione. L’uomo è sempre lo stesso nei movimenti, nel portamento, nell’abbigliamento, ma si trasforma con uno sguardo, un sorriso, facendo venire la pelle d’oca. Viene così surclassato un altro grande serial killer di Chabrol, quel Landru interpretato dal pur bravissimo Charles Denner. Una vera sopresa ce la offre poi Charles Aznavour. Il cantante franco-armeno è certamente anche un attore di lungo corso, ma non mi era mai parso così convincente. Recita la sua parte di modesto sarto padre di famiglia con misura, con il tono giusto. Parla poco, osserva con lo sguardo incredulo, timoroso. Del resto, l’intero cast è impeccabile: personaggi di provincia, notabili e popolani, tratteggiati con grazia e dovizia di dettagli. In conclusione, mi meraviglio che un film tanto importante nella filmografia di Chabrol non sia stato recensito da FILMTV e non abbia raccolto neppure una opinione prima di questa.

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