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In un altro paese

Regia di Marco Turco vedi scheda film

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La recensione su In un altro paese

di millertropico
8 stelle

Sono molte le pellicole che parlano di mafia, ma questa diretta da Marco Turco nel 2005, si distingue da (quasi) tutte le altre soprattutto per il tono, che  permette di mantenere l'opera distante da quella inclinazione agiografica che troppo spesso riscontriamo in questo prolifico segmento cinematografico (vero e proprio sottogenere) sia che si tratti di inchieste, documentari, fiction televisive o film a soggetto destinati al pubblico delle sale.

 

In un altro paese insomma non drammatizza ma documenta davvero l'effettivo stato delle cose, e soprattutto è molto di più di un semplice e usurato esercizio commemorativo nei confronti di coloro (davvero tanti - troppi) che hanno pagato con la vita il proprio impegno civile e sociale per opporsi a questa piaga persino troppo tollerata dal "sistema paese" e dai suoi collusi governi.

 

 

Probabilmente un risultato tanto positivo è dovuto proprio alla fonte di partenza che è quella del libro scritto dal giornalista statunitense Alexander Stille (Cadaveri eccellenti). Il punto di vista di un occhio esterno come il suo è l'ideale per una analisi  puntuale, distaccata (nell'accezione positiva del termine) ed obiettiva che evita (giustamente) i rischi di un resoconto troppo emotivo, ma che proprio in questo suo essere un implacabile osservatore delle cose trae la sua forza.

 

 

Nato nel 2002, il progetto si è potuto concretizzare grazie a una coproduzione fra Italia e Francia. Ha poi avuto la sua consacrazione a Locarno e da lì, il film ha iniziato il suo viaggio fortunato mietendo premi e riconoscimenti in molte delle competizioni festivaliere alle quali è stato chiamato a partecipare.

Sono poco più di novanta i minuti che servono al regista per ripercorrere gli ultimi decenni della storia della mafia  e dei suoi rapporti con la politica attraverso le vicende di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Le voci e le testimonianze dei due giudici scorrono come istantanee (e con loro  quelle di tanti altri protagonisti, forse meno noti ma ugualmente impegnati in una battaglia che sembra non voler mai arrivare a una positiva conclusione) che ci mettono implacabilmente di fronte alle nostre coscienze.  Ci sono però anche le strazianti immagini in bianco e nero della fotografa Letizia Battaglia a fare la differenza che rendono palpitante e attualissimo il problema anche a dieci anni di distanza dalla sua diffusione del film sui nostri schermi, perchè da allora, davvero troppo poco - quasi nulla - è  cambiato  se non in peggio.

 

 

 

 

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