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Il vizio ha le calze nere

Regia di Tano Cimarosa vedi scheda film

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La recensione su Il vizio ha le calze nere

di moonlightrosso
3 stelle

Il "Nino Frassica ante litteram" per eccellenza in un incredibile e inaspettato esordio alla regia!

Incredibile e inaspettato esordio dietro la macchina da presa del prolifico caratterista Tano Cimarosa (al secolo Gaetano Cisco), archétipo del siculo tarchiato e sanguigno, nonchè indimenticato "Zecchinetta" nel "Giorno della Civetta" (1968).

Prodotto da certo Giovanni Carrino, identificato dal Cimarosa come il suo commercialista personale (sic!), il film si inserisce nella derivazione provinciale del thrilling argentiano, secondo un clichè sperimentato qualche anno prima con discreto successo dal veterano Roberto Bianchi Montero nel suo "Rivelazioni di un maniaco sessuale al Capo della Squadra Mobile" (1972).

Un copione altamente sbrindellato a firma di Luigi Latini De Marchi, già mediocre regista di poveristici cappa e spada e che conchiuse la sua insignificante carriera girando un infimo pornazzo a titolo "Babette" (1983), prevede la solita mattanza di procaci figliuole che finiscon sgozzate da una misteriosa dama neroguantata e nerovestita. Le indagini d'un commissario tutto d'un pezzo (un John Richardson particolarmente sciapo, il che è tutto dire!), con l'ausilio del Brigadiere Pantò (impersonato dallo stesso Cimarosa) e di un giovane aspirante poliziotto (Gianni Williams), porteranno alla luce uno squallido intreccio di rapporti mercenari, perversioni e ricatti sessuali, che vedrà coinvolti alcuni notabili di una piccola e opulenta cittadina di provincia: la contessa Mara Orsello (un'austera e viziosa Magda Konopka chiamata, ancora una volta, a interpretare personaggi d'età più matura della sua), con l'immancabile figliuolo drogato, debosciato e omosessuale; Leonora Anselmi (una distratta Dagmar Lassander), moglie d'un facoltoso notaio e dedita al lesbismo, nonchè lo stesso notaio Anselmi. Ne riveste la parte quella simpatica canaglia dell'oggi compianto Giacomo Rossi Stuart, il quale abbandona l'abituale ruolo dell'impenitente "tombeur des femmes" per un "aplomb" dalle tonalità più seriose ed enigmatiche. Nella variegata e variopinta fauna di criminali di piccolo cabotaggio, spacciatori di droga e sfruttatori di contorno, tutti quanti tratteggiati in maniera superficiale e poco incisiva, citerei il "pasoliniano" Ninetto Davoli, nella parte del "magnaccia" Lucetti e quel Giovanni Brusatori nei panni del parrucchiere omosessuale Mario, futuro regista del delirante "rape and revenge" "Le evase, storia di sesso e di violenza" (1978). Il tutto sino a un finale rabberciato in maniera frettolosa e desolante ma che non può non aver ispirato (e non è un azzardo asserirlo) l'assai più acclamato Brian De Palma nel suo "Vestito per uccidere" (1980).

Coadiuvato ufficialmente da Gianni Siragusa, in veste di aiuto regista e ufficiosamente pare anche da Mario Pinzauti (figure entrambe apicàli delle declinazioni più poveristiche e squallide del nostro cinema di genere o meglio "de genere"), Tano Cimarosa ambienta con esterni a San Benedetto del Tronto un film che avrebbe voluto girare nella sua Messina e che non fu possibile fare a causa di non precisati nè precisabili intoppi burocratici.

Totalmente incapace di reggere la suspence e complice anche una colonna sonora decisamente demodè del veterano Carlo Savina, il Cimarosa raschia con mano incerta il fondo d'un barile lasciatoci dal Dario nazionale, prima di approdare ai lidi squisitamente orrorifici della saga delle "Tre Madri".

Sul versante interpretativo, nel nutrito cast di eroi ed eroine del nostro cinema minore, ha gioco facile lo stesso Cimarosa che con il suo Brigadiere Pantò farà da scuola al "Maresciallo Cecchini/Frassica" del mieloso serial televisivo "Don Matteo" e che sarà l'unico in grado di colorare con simpatia e umanità una congerie di personaggi altrimenti stereotipati e posticci.

Nella generale e generalizzata mediocrità farei emergere anche un Ninetto Davoli in buona forma e all'epoca discretamente richiesto, ancorchè una troppo accentuata gigionesca romanità gli impedisca d'esser credibile come quel villain pedofilo e sfruttatore di minorenni che dovrebbe interpretare.

Nonostante effetti speciali pietosi (vedasi il fintissimo sgozzamento inziale patito dall'ex Miss Italia Daniela Giordano), una messa in scena pedestre e dialoghi ai limiti del risibile se non del demenziale, la vicenda si lascia comunque colpevolmente guardare grazie al valente ginecèo di note e meno note starlets, nonchè ai non pochi momenti di quel delizioso pattume cinematografico che solo i gloriosi settanta sapevano regalarci. Se lo squinternato script del buon Latini De Marchi definisce il Notaio Anselmi ora come avvocato di grido (le due professioni sarebbero incompatibili ma in fondo chi se ne frega siamo qui per vedere altro!), ora come "pezzo da novanta" (manco fosse un camorrista!!), ci si sollazza con la cameriera della lesbicona Lassander quando si avvicina a quest'ultima sbottonandosi la camicetta, chiedendole se avesse bisogno di qualcosa!!! Ciò senza tralasciare tutte le sequenze censurate tornate miracolosamente in vita in un recentissimo recupero uncut della pellicola, fino a oggi conosciuta unicamente grazie ai passaggi televisivi e al terrificante master della famigerata vhs "AvoFilm" da evitare come la peste; oltre ad alcuni sapidi siparietti saffici che vedono protagoniste ora la Konopka, ora la Lassander, rimane scolpita un'imperdibile copula assai vicina all'hard tra il supercoatto Davoli e la milfona Dada Gallotti, prima di venir sacrificata all'altare del misterioso maniaco omicida.

Spostando l'attenzione sui risultati al botteghino, il film totalizzò incassi miserrimi e per il quale il Cimarosa non percepirà nemmeno una lira, almeno stando alle sue simpatiche e colorite dichiarazioni.

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