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Truman Capote - A sangue freddo

Regia di Bennett Miller vedi scheda film

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La recensione su Truman Capote - A sangue freddo

di Enrique
6 stelle

Non propriamente un biopic può essere qualificato questo film. Al massimo, un segmento di biografia di un’altra biografia. Ovvero un film che descrive gli anni di vita di un uomo impegnato a sviscerare quanto di utile ci sia - ai fini della realizzazione del libro della sua vita (chissà, poi, se Capote abbia davvero creato un nuovo genere letterario) - nella vita di altri due uomini, autori di un eclatante fatto di sangue.
Raccontare la sofferta gestazione del suo più celebre romanzo, serve, infatti, al regista, per fare capolino nell’eclettico mondo di Capote. Un mondo caratterizzato da tanta genialità “compresa”, tante occasioni di vita mondana, ma, soprattutto, tanta ambiguità emotiva.
Eppur tuttavia, a fare capolino e breccia nella spettatore è, più di tutti, un ulteriore sentimento. La freddezza.
L’ambiguità dei sentimenti costituisce, infatti, una maschera di apparenza.
Quello raccontato dal film di B. Miller è uno stato d’animo che del logorio di sentimenti contrastanti conserva solo l’apparenza. Dalle scelte comportamentali di Capote soffia, piuttosto, una brezza gelida (basti pensare all’atteggiamento da lui tenuto alla festa per il successo raggiunto dalla sua amica Harper Lee/C. Keenerper lo splendido Il buio oltre la siepe), la quale, tuttavia, alla lunga, contagia anche il film.
A detrimento dell’ardore suscitato dal brivido della brutale strage e dalla caccia ai 2 malviventi (invero, da subito, un po’ trascurata) affiora, infatti, progressivamente una farisaica freddezza dei sentimenti. L’epifania di questa, nondimeno, è subordinata alla faticosa riuscita del libro (il quale, tuttavia - pare un circolo vizioso - non può essere ultimato fin quando sulla vita dei 2 criminali non “cala il sipario”). Ecco spiegata la parabola, a mio avviso, discendente del film. Più si va in là nella visione e più le piacevoli venature del thriller vengono sacrificate a vantaggio di un’indagine drammatica dal sofferto retrogusto psicologico che non lascia adito al dubbio, nè possibilità di redenzione.
Il pubblico successo del libro di Capote assurgerà a prodromo di un insuccesso umano di là da venire, ma di cui già si avvertono gli incontrovertibili sintomi.
Encomiabile P.S. Hoffman, anche se il doppiaggio italiano dissimula molto l’abilità della sua interpretazione (sicchè sarei curioso di sapere quanta fedeltà all’originale sia stata effettivamente mantenuta, in considerazione dell’Oscar ricevuto dal medesimo).

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