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La moglie del fornaio

Regia di Marcel Pagnol vedi scheda film

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La recensione su La moglie del fornaio

di Utente rimosso (SillyWalter)
8 stelle

Ah les femmes sont compliquées! Pire qu'une montre! ( =...Peggio di un orologio! )

 

"Voi (giornalisti di cinema) date sempre troppa enfasi al valore delle immagini. Giudicate i film prima di tutto per il loro impatto visivo invece di cercarne il contenuto. Questo è un cattivo servizio che rendete al cinema. È come giudicare un romanzo solo dalla qualità della prosa. Anch'io ho commesso lo stesso peccato, quando ho cominciato a scrivere per il cinema. È stata l'esperienza di cineasta a cambiare il mio atteggiamento. Ora invece sono convinto che solo una mentalità letteraria può aiutare il cinema a uscire dal vicolo cieco in cui lo hanno condotto gli amanti della tecnica e gli esperti di trucchi. È per questo che credo che oggi l'importanza data al regista nel processo di realizzazione del film sia esagerata, mentre lo scrittore quasi mai riesce a vedersi riconosciuto il posto d'onore che gli spetta. Per me gente come Marcel Pagnol o Jacques Prevert significa più di chiunque altro nel cinema francese. La mia opinione è che lo scrittore debba avere la prima e l'ultima parola su come fare un film, e che l'unica alternativa migliore sia uno scrittore-regista, ma con l'accento posto sul primo dei due termini. (...) Prendi un film che è diventato, a buon diritto, un classico: LA MOGLIE DEL FORNAIO. Che cosa abbiamo in quel film? Una brutta fotografia, un montaggio non calibrato e una serie di eventi che vengono raccontati piuttosto che mostrati. Però abbiamo una storia e un attore – entrambi superbi – che lo rendono un film perfetto. E la storia non è neanche particolarmente «cinematografica». Credo che avrei potuto adattarlo per il palcoscenico in una sola serata, se avessi voluto. Questo esempio illustra forse meglio di qualunque altro cosa intendo quando parlo dell'importanza primaria della storia in un film. Certo non mi riferisco semplicemente al valore aneddotico, (...) per la verità è più una combinazione di fattori umani e idee di base ciò che rende un soggetto adatto a essere portato sullo schermo." ~ Orson Welles (1950)

 

Terminata la Seconda Guerra Mondiale Orson Welles andò a trovare il regista Marcel Pagnol, gli disse che aveva visto LA MOGLIE DEL FORNAIO e che avrebbe voluto conoscere Raimu, "il più grande attore al mondo" secondo Welles. Pagnol rispose che Raimu era morto di recente e Welles scoppiò a piangere. ~ (Fonti: "Confidences" by Pagnol)

 

Nella sua autobiografia "Elia Kazan: A Life", Kazan cita Marcel Pagnol come uno dei suoi registi preferiti. Kazan inoltre raccomandò a Tennessee Williams i suoi semplici film ambientati nei villaggi della Provenza come modello per BABY DOLL. (...) Kazan scrisse nel notebook di produzione di BABY DOLL che sentiva che la cosa più vicina a quel film fosse Pagnol perché mischiava commedia e tragedia. Non ci sono personaggi realmente volgari o spregevoli nei film di Pagnol, e sia Kazan che Tennessee Williams arrivarono a vedere qualcosa di simile nella loro creazione. Sebbene il drammaturgo non fosse sicuro di aver mai visto un film di Pagnol, immediatamente comprese l'allusione in termini di leggerezza e giocosità di tono. ~ (da: "Elia Kazan - The Cinema of an American Outsider" di Brian Neve; Selected Letters Of Elia Kazan)

 

"Un giorno ho visto LA MOGLIE DEL FORNAIO a New York in versione originale. È stato uno shock. È un film che ha la potenza dei film di Capra, John Ford e Truffaut messi insieme. Pagnol doveva essere un uomo eccezionale." ~ Steven Spielberg

 

Strano souvenir (quasi) fuori dal tempo, stretto tra le urgenze trascinanti di una scorbutica convivenza collettiva e il tour de force fisico di un attore d'eccezione come Raimu, LA MOGLIE DEL FORNAIO è uno specchio di abbagliante luce provenzale, col suo ostinato calore umano che si rammenda un Pernod alla volta, ignaro di cinismi e rivoluzioni a venire fino a farsi largo senza chiedere pardon nella galleria delle figure memorabili, più grandi della verità, dell'essenzialità, dei limiti rimasti sulla carta. "Non ci sono personaggi realmente volgari o spregevoli nei film di Pagnol."

 

Raimu è prima di tutto una sfrenata presenza che si impone senza alcuno sforzo, una specie di pentolone perennemente borbottante e sbuffante (da consumare RIGOROSAMENTE in lingua originale), che non cerca d'essere comprensibile alla virgola, ma che tra una scrollata di spalle e un fremito di impazienza bofonchiata comunica tutto ciò che deve e vuole con l'aiuto di ogni possibile espediente mimico riservato alla carne tumultuosa dei più grandi interpreti.

 

In un paesino collinare della Provenza la prima infornata del nuovo panettiere Aimable (Raimu) è l'evento epocale su cui gravitano i sensi di un'intera (seppur contenuta) comunità. Mentre gusto e olfatto sono fermi in fila, gli occhi sono tutti per la giovane e bella Aurelie (Ginette Leclerc), la non troppo loquace moglie del fornaio. Nonché prossima pietra dello scandalo.

 

La prima impressione è quella della soleggiata piazza del paese. Qui facciamo la conoscenza dell'(evidentemente unico) istitutore scolastico nel momento in cui gli viene chiesto di fare da mediatore tra 2 famiglie che non si parlano da 3 generazioni. Nessuno in verità ricorda più per quale ragione non si parlino, ma a dar retta a chi ha ereditato quella faida "se viene da così lontano dev'essere qualcosa di grave!" Il maestro subito inquadra per noi i termini del problema: "Un paese di idioti..." "No, è solo che abbiamo molto amor proprio," si sente rispondere.

 

Ecco ora altri due villici che battibeccano perché due alberi sul terreno di uno tolgono il sole agli spinaci del vicino. "Gli alberi sono mal posizionati", dice questo. E l'altro : "È il tuo giardino che è mal posizionato." E ancora: "E di chi è quel sole? I tuoi alberi rubano il sole che mi spetta." E l'altro: "E io che non posso mettermi all'ombra dei miei alberi perché tu rubi la mia ombra! " ...ovviamente non se ne esce...meglio seguire l'esempio degli avi e non rivolgersi più la parola.

 

 

"Giusto lei!", fa il curato imbattendosi nel maestro. Il malcapitato istitutore deve su due piedi rendere conto di aver sostenuto in classe che Giovanna D'Arco HA CREDUTO DI SENTIRE (e non: HA SENTITO) delle voci, quando con ogni evidenza si tratta di un fatto storico accertato. L'insegnante replica che chiaramente non era presente nel 1431, ma anche se si trattasse di un fatto storico, è piuttosto PERICOLOSO affermare con certezza che la giovane pastorella ha sentito la voce di Dio: si rischia di essere mandati al rogo dai suoi colleghi del tribunale ecclesiastico, proprio come accadde alla pulzella d'Orleans, "che nonostante fosse capace di sentire quelle voci era pur sempre combustibile e ne morì". Dopo un'altra disputa su "confini e pertinenze" di spirito e scienza il parroco decide tanto per gradire che è il caso di togliere il saluto all'insegnante perché "non si salutano gli animali" e l'insegnante sostiene appunto che l'uomo appartiene orgogliosamente al regno animale. Volano parole grosse e qualche appello latineggiante al satanasso di turno.

 

II nobiluomo dei dintorni (...siamo in Francia, vuoi che non salti fuori un qualche nobile culastrisce?) è il Marchese Castan de Venelles, il quale è a quanto pare entusiasta che il forno torni a pieno regime. Il suddetto vive infatti con molte "nipotine", e le molte nipotine sono anche molto affamate, nonché abituate a una certa overdose domenicale di brioches. Il curato ne approfitta per tentare ancora una volta un contegno scandalizzato quando gli rinfaccia vis a vis il cattivo esempio diffuso da siffatta condotta. Ma l'aristocratico ben volentieri ribatte in punta di sofisma che "la deboscia non è un peccato gratuito e gli esempi pericolosi sono solo quelli alla portata di tutte le borse, non quelli che richiedono delle rendite." Ne consegue che lui e i suoi eccessi sono ovviamente esclusi. E di fronte al pericolo del suo esempio (se non addirittura GRAZIE ad esso) la Povertà dei paesani diventerà Virtù. "Blasfemia!", non può che protestare il poco convinto pretino, che per altri versi, però, non si azzarda oltre la scaramuccia verbale per non mettere a repentaglio i denari promessi dal Marchese per aggiustare il tetto della chiesa.

 

 

Aurelie: "Aimable, una bontà come la tua è peggio delle bastonate."
Aimable: "Cosa vuoi mai, la bontà è difficile da nascondere. Perciò scusami. Non lo faccio apposta, e ti domando perdono."

 

Il problema del panettiere Aimable è indubbiamente di carattere Dostoevskijano. Aimable va oltre l'essere semplicemente "amabile", lui è buono fino alla dabbenaggine, tant'è che ringrazia perfino il trio di pastori che sveglia lui e la moglie con una serenata (in italiano) credendo che sia un riconoscimento tributato al suo pane. "È una bella canzone, " fa con la moglie. "È un peccato che cantino in piemontese , o in corso , o in arabo. Non capisco cosa dicono." E riconoscendo nel gruppo Dominique, uno dei pastori che il Marchese gli ha presentato quello stesso giorno, manda addirittura Aurelie giù in negozio a ricompensarlo con una focaccia speciale. "Ce ne sarà per tutti? Ci stanno mettendo molto, per me se la mangia tutto da solo...", pungolano intanto i due pastori-musicanti rimasti a intrattenere l'ignaro fornaro.

 

Il colloquio tra fornaia e pastore è breve ma proficuo, e qualche ora più tardi, col favore delle tenebre, Aurelie fugge con Dominique proprio sotto il naso ronfante di Aimable. Il fornaio lo apprenderà l'indomani dal buon Marchese, indignato più che altro dal fatto che i due sono fuggiti con Scipion, il suo cavallo migliore ("a rivenderlo c'è da farci anche 12000 franchi..."). L'avventura di Scipion avrà comunque vita breve. Lasciato libero dai fuggitivi il destriero verrà avvistato in giornata da un provvidenziale contadino che lo ricondurrà provvidenzialmente al legittimo provenzale proprietario.

 

 

Aimable costernato e frastornato inizialmente non vuole ammettere il tradimento e si butta a capofitto a cercare la moglie in ogni dove: "Sarà in giardino, a lei piace il giardinaggio...sarà andata da sua madre, soffre di nostalgia...sarà in chiesa, di solito andava alla messa delle sei e mezza...". Ma i posti in cui cercare sono presto esauriti e non è di consolazione neanche andare per ben due volte alla Santa Messa, soprattutto perché il curato tira in ballo il povero Aimable anche dal pulpito, consigliando ai fedeli di apprendere dallo scandalo in corso una più che evidente morale: le donne che non trovano rifugio in un Pastore di Anime un giorno potrebbero accontentarsi di un pastore di pecore.

 

Quando poi la rassegnazione prende il sopravvento al fornaio non resta che accovacciarsi nel bar della piazza principale con la ferma intenzione di ubriacarsi come Dio comanda. Senza indugio gli si fa incontro per primo un pescatore che non brilla certo per tatto: "Allora fornaio, siete cornuto?" "No, quella è una parola divertente, è per i ricchi. Io nel caso non sarei cornuto, sarei disgraziato".
Sempre più ciucco, sproloquiante e assediato ormai dall'intero paese, Aimable chiede al Marchese : "Sapete cantare in italiano? È molto importante saper cantare in italiano" e si lancia in una prova canora costellata di dubbi italianismi, concludendo poi che: "...dovrebbe essere proibito parlare in italiano, perché i mariti non lo capiscono ma le mogli lo capiscono bene... Infatti il Papa, che è italiano, non parla italiano ma latino, perché è un brav'uomo, un uomo onesto, un sant'uomo, e non vuole che le donne lo seguano..." Il prete prova a correre ai ripari incoraggiandolo a pregare e ad affidarsi al Signore, ma Aimable non ci sta: "La preghiera è per quando hai peccato, ma io non ho fatto niente di male, allora perché il buon Dio ha permesso che mia moglie scappasse con il pastore? Io rispetto il buon Dio ma è lui che mi ha fatto un torto....e poi lei è bravo a parlare, non rischia niente, il suo Dio non può abbandonarla perché è inchiodato alla croce, il mio invece se n'è andato via...E non parli di quel che non conosce e non può conoscere, lei è giovane...ed è prete." Concetto ribadito poco dopo anche dal marchese: "Per far naufragio bisogna navigare, chi non lascia il porto non corre rischi..."

 

Il paese comincia (coi suoi tempi) a rendersi conto che senza la consorte Aimable non vorrà proprio più saperne di mollare la bottiglia e tornare a sfornar pane e corre così ai ripari come un sol uomo organizzando Stati Generali e minuziose spedizioni militarizzate (ad opera del Marchese) per rintracciare la bella Aurelie. Nel frattempo a comari, megere e matrone del luogo non par vero di potersi avventare a lingua sciolta su siffatti osceni accadimenti. La perpetua dubita a gran voce che per lei avrebbero fatto tutto quel can-can. Un'altra castigatissima beghina nerovestita dice che per tenersi un uomo non basta la bellezza, ma ci vuole "giudizio". Al che la perpetua aggiunge che: "...bisognerebbe truccarsi, impomatarsi, farsi la barba ogni mattina e sculettare un po', e allora sì che vorrebbero tutto di voi." "Dio me ne guardi!", replica la pia donna.

 

 

( ! ATTENZIONE SPOILER ! )

 

I fallimenti perlustrativi si susseguono senza sosta quand'ecco che si ode una pattuglia tornare tutta allegra e canterina. Avranno avuto fortuna? No, è solo merito del vino, che rincuora, rallegra e appiana vecchi e nuovi rancori (quelli sull'ombra degli alberi). Il gruppo non ha trovato la fornarina ma ha comunque un regalo che, sostengono, viene direttamente da lei: si tratta di un'ampia scatola su cui il fornaio si getta speranzoso trovandoci...un paio di corna. Per il povero Aimable questa è l'ultima goccia. Finge di andare a prendere del vino in cantina e lì poi tenta di impiccarsi. Lo fermano sul filo di lana proprio mentre giunge la notizia che il pescatore ha visto i due fuggiaschi in un isolotto in mezzo alla palude. Aimable si rianima e propone che sia il curato ad andarla a prendere, perché "sa parlare" e perché là dovrà di certo affrontare il diavolo che quello stregone del pastore le ha messo in corpo. Il curato fa notare che, anche se indemoniata, Aurelie ha pur sempre al suo fianco il libero arbitrio, ma Aimable si imbestialisce: del libero arbitrio lui se ne frega, vuole che gli riportino sua moglie, solo sua moglie. Che torni pure a pascolare le sue pecore, il libero arbitrio! E non vuole sentir parlare di malintesi e incomprensioni. Il curato è l'unico che può scacciare il diavolo e salvare Aurelie.

 

Ecco dunque il curato e il maestro che attraversano la palude, il primo a cavallo del secondo, visto che l'istitutore è pratico della zona ed ha gli stivaloni da pescatore adatti alla bisogna. Il curato inizialmente non vorrebbe cavalcarlo per non avallare la sua teoria che l'uomo appartiene al regno animale, ma infine si rassegna e si lascia docilmente trasportare. Non appena intravede il prete, l'aitante pusillanime Dominique si dà alla fuga ad ampie e possenti bracciate, perché non vuole certo "vivere nel peccato". Aurelie, sola e disgustata, accoglie senza fiatare la strana coppia e si lascia indi ricondurre all'ovile. Non prima, però, d'essersi sorbita una lunghissima predica sermoneggiante mentre attende vergognosa che faccia buio e che le strade del paese rigettino nel chiuso delle rispettive dimore la folla di curiosi e megere assetate di gossip.

 

Per un ghiribizzo della sorte col ritorno di Aurelie torna a casa anche la gatta Pomponnette, che già da qualche giorno aveva disertato il forno e il legittimo compagno Pompon per correr dietro a un altro felino randagio, un buono-a-nulla di uno sconosciuto, mentre il povero Pompon si faceva il sangue cattivo e la cercava dappertutto... 
Aimable: "Che cosa aveva, dimmi, più di Pompon?"
"Niente," mormora a testa bassa Aurelie.
"Tu dici niente, ma lei, se potesse parlare, se non avesse vergogna o pietà per il povero Pompon, direbbe che era più bello... Ma che vuol dire bello?" si interroga stordito e bofonchioso Aimable davanti alla moglie in lacrime. "Cosa sono queste piccole differenze tra l'uno e l'altro? Tutti i cinesi sono uguali e tutti i negri si somigliano... E anche se i leoni sono più forti dei conigli non vuol dire che le coniglie debbano correr dietro ai leoni facendo l'occhiolino. E la tenerezza allora, dove la metti? Dimmi, per caso il tuo pastore si svegliava, la notte, per guardarti dormire? E avrebbe lasciato che il forno si spegnesse, se tu fossi partita e lui fosse stato il fornaio?..."
L'attenzione torna poi sulla gatta, che nel frattempo sorseggia il latte della ciotola di Pompon. Ed è così che, alla fine, a prendersi della "garce" (sgualdrina) e della "salope" (sporcacciona) da Aimable è solo Pomponnette, che per altro non sembra prendersela troppo. Ad Aurelie tocca invece il compito di rassicurare Aimable tra un singhiozzo e l'altro che Pomponnette non è tornata solo perché aveva fame e freddo, e che ora che è tornata non se ne andrà più via. Mai più. Plus jamais.

 

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