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Girolimoni, il mostro di Roma

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

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La recensione su Girolimoni, il mostro di Roma

di lamettrie
9 stelle

Un grandioso Damiani, come sempre. Qui mostra ancora una volta l’abuso di potere, come purtroppo si è potuto far vedere solo dal ’68, e come quasi nessuno è riuscito a fare alla perfezione come lui: la giustizia viene resa ingiustizia dal potere, senza via di scampo, solo per motivi di consenso politico.

Inoltre la pellicola è grandiosa anche perché non fa sconti al popolo. Mostra i limiti del popolo, mettendo in scena una di quelle tipiche richiesta di giustizia popolare che nella storia si sono succedute migliaia di volte, e che hanno richiesto un capro espiatorio, sulla scorta dell’ignoranza più profonda: non fa una gran differenza se a rendere effettiva una sentenza iniqua fosse un pogrom attuato in una zona a maggioranza ortodossa, o la ghigliottina, o il rogo promosso dai cattolici, o la lapidazione praticata dai musulmani… sino a tante altre pratiche che hanno creato in mille modi altrettante migliaia di vittime ingiustamente accusate. Qui è perfetta la resa della becera richiesta popolare del mostro a tutti i costi: la madre del vero mostro vuole la pena di morte per colui di cui non c’è prova di colpevolezza (poi ucciso a tradimento col veleno, appunto, e il risultato viene comunque raggiunto!, con la connivenza fra capi popolari e potere); e lo fa solo per coprire suo figlio, che sa essere il vero mostro. Una ipocrisia tutta italiana, in cui s’incolpa soprattutto l’ ”anima mediterranea”, quella del centro sud dove le popolane e i popolani, più che altrove, hanno trovato consenso più facilmente, quando hanno urlato delle scemenze o delle falsità gravi.

Grandioso è poi Damiani nella condanna al fascismo, fenomeno nefasto che il sommo regista friulano (sommo solo nel decennio successivo al ’68, sia chiaro) tratta solo qui, (chiedo venia se mi sbaglio). Nella dittatura tutto dev’essere perfetto; se c’è un problema, se ne deve subito cercare un colpevole, a qualunque costo. E’ un sistema iniquo per necessità. Poi, chi si mette contro all’ingiustizia non fa carriera, mentre chi per opportunismo eccede nella menzogna fa carriera, come il brigadiere siciliano. Proprio il rapporto di costui con Girolimoni è illuminante: il brigadiere viene chiamato da Girolimoni “leccaculo”, invidioso perché Girolimoni aveva fatto in guerra un gesto considerato eroico. Ma l’invidia del brigadiere, e la sua interiore frustrazione, hanno tratto terreno fertile nella sua ambizione di potere (e quindi, forse, di soldi): egli viene premiato per quello che invece è stato un errore, e un errore voluto, dato che non c’erano prove sufficienti.

Tecnicamente, poi, il film è straordinario. Basti ricordare la scena in cui lo spettatore capisce che il vero mostro è stato reso innocuo dalla propria famiglia, giusto per evitare che non li si scopra, e che quindi dalla madre ortolana non possa andare più nessuno a comprare niente, “manco una foja dde cicoria”. Al giovane mostro, indegnamente e gravissimamente coperto dalla famiglia (e il film mostra il dibattito interno a questa copertura, affatto accettata in modo unanime!), la moglie, assegnatagli per quieto vivere (in barba a una seria scelta), dà da mangiare imboccandolo, dato che il marito non riesce a trattenere il cibo. Siamo in pieno giorno: è chiaro che il giovane non può mangiare perché prende psicofarmaci. Una scena che in 10 secondi fa capire tutto: un merito assoluto del regista, che è anche anima del soggetto e della sceneggiatura, per di più.

Non meno grandiosa, per quanto orripilante, è la scena con la neonata. Prima l’infante sorride, poi si acciglia perchè avverte la stranezza di colui che ella non può sapere essere un mostro, poi l’inquadratura magistrale di due secondi mostra il viso del pedofilo per colui che quegli è: dal sorriso di circostanza si passa all’intenzione più bieca, l’alluce della bimba viene stretta dal pedofilo mentre la camera era già scorsa sulla vagina della piccola, che nel frattempo inizia a piangere, sentendosi minacciata. Il resto viene da sé. La sequenza dura trenta secondi, e fa raccapricciare. Gabriele Lavia interpreta il pedofilo, e dà saggi di bravura, esattamente come chi interpreta sua madre. Ma tutto il resto del cast è splendido: da un Manfredi in stato di grazia (peraltro io lo ritengo sopravvalutato, ma non qui), all’eccellente Catenacci che recita la parte intensa di Mussolini, ad altri.

Il realismo si spreca, come quando una coppia mette a repentaglio la vita della propria bambina (che poi finisce violentata e uccisa, infatti), solo per la sola necessità maschilista di ottemperare al bisogno del coito quotidiano imposto alla propria partner, scena che non è solo frutto di fantasia.

Damiani, come sempre nel decennio citato, non permette situazioni edulcorate. Ma ha un grande polso e talento quando mostra le situazioni sgradevoli in modo misurato, al fine di farle cogliere nella loro realtà, senza eccessi: il fine è far ragionare bene su drammi veri, affinchè non accadano più.

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