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Munich

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Munich

di Dalton
10 stelle

Spielberg è uno dei più grandi manipolatori della mdp, inventivo quanto preciso nell'uso di essa. Un tempo era più incline ad affabulare, con effetti speciali funzionali alla trama; adesso (che è invecchiato) squali, dinosauri, extracomunitari e extraterrestri vengono rispediti a casa senza mezzi termini: sono l'inquadratura e la suspence ad essere funzionali allo sviscerarsi dei dilemmi morali. La voglia ecumenica d'aggregazione è stata sostituita dall'attesa della provvidenza divina, come nel finale de LA GUERRA DEI MONDI; (la sindrome di) Peter Pan si smussa per adattarsi (alla rappresentazione) di una cruda realtà. Più maturo ma riluttante ad arruginirsi, riflette qualche secondo in più (anche a costo di diluirsi) sulle proprie idee e gesta (passate). La diegesi ricorda Ian Fleming (gadget inauditi, doppiogiochismi istituzionali, missioni internazionali con continui cambi d'ambientazione, cattivi/e da stanare in continuazione come in un videogioco) ma l'esegesi è tutt'altro che "vacua", a differenza delle precedenti "missioni impossibili". Non c'è un James Bond o (giustappunto) un Indiana Jones a districarsi in un'avventura "umanitaria", bensì un povero esponente della middle-class che deve difendere l'onore (e gli interessi) di una patria - che non è nemmeno la sua! - trasformandosì così in un angelo vendicatore incurante dei servigi con cui i suoi avversari, esibiti oppure occulti, vogliono giustificare le proprie malefatte e difendere la propria esistenza. Già, un esponente della middle-class coinvolto in un gioco più grande di lui, un pò come il Tom Cruise di EYES WIDE SHUT: alla fine del progetto di vendetta, riuscito o meno, deve farsi da parte e tornare nell'alcova d'origine, attendendo che la "upper-class" e i "servi della gleba" si auto-distruggano da soli. Paradossalmente, viene chiesto di compiere senza schierarsi. Preventivo, come il clima bushiano richiede(va). Tornano alla memoria anche il Cary Grant di INTRIGO INTERNAZIONALE e le intrusioni del Gene Hackman ne LA CONVERSAZIONE. D'altronde Kubrick, Hitchcock e Coppola non hanno ispirato molto cinema spielberghiano? Ognuno ha le sue ideologie ed il suo credo; tuttavia la storia cambia, si sviluppa e i carnefici diventano (o devono diventare?) vittime. E viceversa. Nel suo precedente SOLDATO RYAN, il quesito si poneva nel chiedersi se valeva la pena di sacrificare diversi innocenti, mandandoli in avanscoperta (nella trincea della Normandia) alla ricerca di un singolo: quello era un war-movie, dal sapore caritatevole. Stavolta è una spy-story, dove un singolo "corrotto" va in avanscoperta, nella trincea delle reti del terrore europee, alla ricerca di una serie di "corrotti": il filo conduttore tra queste due opere dello zio Steven è l'assurdità dell'esistenza. Pretestuoso supporre filo-nazismi, semmai qualunquismi. In realtà questa potente opera riprende dal punto - di vista storico/narratvo - in cui terminava il magnifico documentario ONE DAY IN SEPTEMBER; magari si conclude, a livello morale, dove il documentario iniziava. Perchè in un clima di terrore, quindi di dubbio, è impossibile trovare una soluzione di continuità. Non si rinnega il culto ebraico o la voglia di combattere il male (a differenza, forse, dell'altro straordinario semita Woody Allen) eppure, in tal caso, la risoluzione delle paranoie necessita di una machiavellica "legge del taglione": forse su questo Spielberg è più propositivo ed amaramente ottimista dell'ironicamente sconsolato documentarista Kevin McDonald. Le location mediorientali e "mediterranee" colpiranno poco gli spettatori occidentali (ad esempio, gli italiani non resteranno stupiti dalla già assimilata ambientazione romana); il desiderio di occultare i segni stilistici della precedente filmografia rendono - come già preannunciato - la trama lievemente prolissa e macchinosa, rischiando di lasciare spaesato lo spettatore. Ma cosa importa? Il bersaglio filmico ed ideologico è stato colpito ...

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