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Galileo

Regia di Liliana Cavani vedi scheda film

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La recensione su Galileo

di lamettrie
10 stelle

Un film splendido, su uno dei casi reali più necessari da conoscere, per un italiano e non solo.

Il film, che riesce a non dilungarsi e a mantenere vivissimo l’interesse, dice quanto va conosciuto sulla libertà di pensiero: a partire da questo caso da manuale, si mostra come la verità sia sempre un vantaggio per chiunque, anche per colui che vede smentito ciò che credeva in precedenza (il quale trae un miglioramento da questo cambiamento). E tale verità richiede l’impegno della ragione, libero da pregiudizi e tabu, e quindi anche libero anche dal disimpegno morale e intellettuale: l’unica guida utile è l’impegno per la felicità (nel caso di Galileo, la conoscenza di ciò che Dio ha fatto, che va conosciuto perché non può non coincidere con il meglio per l’uomo, almeno nell’ottica di un fideista quale lui era); tale impegno etico, che inevitabilmente diventa poi culturale, richiede cose vere, e non si può appagare di cose false o non debitamente approfondite.

I peggiori nemici della verità sono sempre stati le classi dirigenti dogmatiche (ovvero oltre il 99% di quelle che realmente sono riuscite ad essere classi dirigenti, purtroppo): qui accusata è la Chiesa, con la sua terribile tradizione di misfatti, coperti innumerevoli volte dall’omertà interessata di chi voleva far carriera (magari senza neppure condividere gli esigentissimi presupposti di fondo del vangelo, se non come facciata); tale trista tradizione è mischiata sempre (senza che ciò la giustifichi affatto) a una lunga tradizione di filantropismo. Ma, implicitamente, quasi ogni classe dirigente, apertamente totalitaria o no, rientra indirettamente nel terribile quadro che appare nella pellicola: quelle capitaliste (con le loro variabili fasciste), o comuniste non sono certo state da meno in questa offesa spaventosa ai diritti umani. Non è un caso che questa sia un’opera del ’68; non è un caso che allora la Democrazia cristiana si mosse per farla sparire indebitamente, prima dal cinema, poi dalla tv.

I dialoghi sono l’elemento più importante, e sono eccellenti. Non solo per la sceneggiatura è poi perfetta la ricostruzione storica: la musica di Morricone; le scenografie (addirittura favolose, create all’uopo, alcune interne del processo, alla fine del film); la fotografia. Il papa Barberini Urbano VIII, le digressioni con Bernini, insomma gran parte della corte vaticana è resa in modo perfetto, anche grazie a un cast che recita proprio bene: cosa che si ascrive ancora a maggior merito per questa produzione (così stranamente) italo-bulgara.

Il film è di alta divulgazione,  senza mai essere banale: tocca solo i temi della libertà di pensiero e delle conseguenze morali di ciò che fece Galileo, che ovviamente è uno dei geni maggiori della scienza e dell’umanità in generale. Se la regista Cavani è potuta andare così in profondità (e ha dovuto lambire solo certi argomenti, per favorire la fruizione del vasto pubblico su una tematica così fondamentale come poche altre), a costei ciò non può che ascriversi come grandioso merito culturale, in senso lato, dato anche il complesso che qui ha messo assieme.

Il sommo scienziato toscano è poi descritto in modo per nulla oleografico: è un genio assoluto, che ha contribuito grazie al suo coraggio, alla sua intelligenza e ai suoi sforzi a cambiare il mondo. Eppure non ha teso tale coraggio sino a dove era auspicabile: Bruno è più eroico di lui, che ha abiurato. Il film ha infatti anche il pregio di mostrare in sovrabbondanza la meritoria opera culturale, di libertà, di Bruno, caso esemplare nella nera pagina della repressione della controriforma cattolica.

L’abiura è un marchio infamante sul personaggio storico Galileo, ma lì la Chiesa aveva reso invivibile la vita per questa categoria di persone che assommavano almeno le seguenti due caratteristiche, pur indispensabili e lodevoli agli occhi di chi apprezza i diritti umani:  la categoria di chi non volesse essere ignorante, e nel contempo non volesse essere, tramite il proprio silenzio, complice di reati orrendi. Tale categoria è ristretta a una sparutissima minoranza: ma,  al di là degli svantaggi economici che derivano da tale condotta, in ogni luogo un gruppo umano siffatto è stato forse il migliore. Il migliore anche per i vantaggi che, indirettamente (ma realmente: in termini di promozione dei diritti umani) ha dato persino a coloro che, per paura, non ne han voluto far parte.

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