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L'ora del lupo

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su L'ora del lupo

di OGM
8 stelle

Johan Borg, pittore di chiara fama, ma affetto da disturbi psichiatrici, trascorre, ogni anno, la primavera e l’estate su un’isola svedese semideserta, in compagnia della giovane moglie Alma. L’antefatto della storia narrata in questo film, basata su un racconto dello stesso Bergman, è la misteriosa scomparsa dell’artista, in seguito alla quale la donna decide di diffondere l’inquietante contenuto dei diari in cui l’uomo ha scrupolosamente registrato, giorno dopo giorno, i dettagli delle proprie allucinazioni, divenute, col procedere della sua pazzia, sempre più inscindibili dalla realtà. Questa incapacità di distinguere il  vero dall’immaginario e l’oggettivo dal soggettivo si propaga a tutta la narrazione, contagiando la moglie, gli altri personaggi e, di conseguenza, lo spettatore: le singole visioni individuali sembrano fondersi in un unico panorama onirico, in cui tutte le prospettive vengono considerate simultaneamente, e poste sullo stesso piano, contro ogni logica razionale o estetica. L’apparenza contraddittoria, la deformazione ottica, il paradosso visivo diventano i canoni espressivi di riferimento per una rappresentazione tracimante di grottesco, in cui la paura, il sospetto e la vergogna si trasformano nell’unica fonte universale di divenire creativo, da cui scaturiscono la vita, la morte ed ogni istinto naturale. L’ora del lupo è il momento più profondo della notte, in cui il buio è spinto fino alla soglia estrema, oltre la quale può solo disgregarsi in luce: è in quel breve intervallo di tempo che il mondo raggiunge il massimo livello di tensione, provocando nascite e dipartite, e rinnovandosi, così, tra spasmi di dolore, improvvise scomparse e miracolose apparizioni, esattamente come nella convulsa farneticazione di un incubo. Il delirio visionario è magia nera, che seduce e maledice chi ne è vittima: è un prodotto non voluto della mente, che ci domina con la sua incomprensibilità, come un’amante misteriosa che ci viene a cercare senz’altro motivo che quello di sconvolgerci e possederci. Prestarsi al gioco significa essere se stesso e l’altro: un tipico tema bergmaniano che, però, non si risolve, come nelle sue opere più note, in un effetto speculare a due, bensì diviene un’esperienza corale, totalizzante e priva di ogni simmetria.  La coppia di sposi che, col tempo, giungono pian piano a condividere i connotati fisici e la percezione della vita, sono solo il punto di partenza di un vertiginoso processo che trasfigura tutta l’umanità circostante, chiamandola a mescolarsi con gli spettri della follia, con i fantasmi del passato e con le inquietanti ombre del segreto.

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