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Il giorno dello sciacallo

Regia di Fred Zinnemann vedi scheda film

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La recensione su Il giorno dello sciacallo

di Decks
8 stelle

Tanta è la minuziosità con cui il film ha inizio che ci pare di essere catapultati in una pellicola storica francese: l'OAS, l'indipendenza dell'Algeria, l'attentato a De Gaulle... Non è però un documentario quello che abbiamo dinanzi, ma un thriller, diretto da Fred Zinnemann; il regista austriaco dà vita non ad un'opera esente da difetti, ma sicuramente uno dei più avvincenti film degli anni '70.

 

L'accuratezza di Zinnemann non è relegata esclusivamente a fatti storici o sequenze temporali; la sua mano si può notare benissimo nella scelta delle scenografie: paesaggi sempre differenti con oggetti mai posti casualmente, la cura con cui ci vengono presentati i più importanti è da ammirare: basti pensare all'arma del delitto: la sua scrupolosa ripresa delle forme e dei più piccoli elementi che lo compongono è rasente alla perfezione.

L'entusiasmo non ha fine quando ci si rende conto che il regista riesce a sorprenderci anche con delle frivolezze (quali un incidente stradale), le sue inquadrature pur essendo statiche e ragionate, talvolta complesse, riescono a conferire un dinamismo unico alla pellicola, un ritmo d'autore, che rende essenziale qualsiasi scena, fortemente comunicativo senza il bisogno di usare dialoghi alcuni, giocando molto sul vedo non vedo, una tecnica che caratterizza anche la figura evanescente dello sciacallo.

Il montaggio di Kemplen è di quello superlativo, originale per l'epoca, capace di far dire di più nello stesso intervallo temporale, risparmiando tempo e non dando sensazione di scopiazzatura del libro di Forsyth, ma di traduzione in linguaggio cinematografico, assumendo le leggi del cinema e non della letteratura. Ingegnoso è, difatti, il modo con cui vengono tagliati i discorsi iniziali, mostrando solo l'entrata in scena di specifici personaggi e la fine dell'argomento con le sue considerazioni e scelte; non solo un apprezzabile avvedutezza nei minuti di produzione, ma capace di dare una tensione unica con spostamenti continui dal killer al poliziotto Lebel; un inseguimento che dura dall'Italia alla Francia, sempre più serrato e sempre più vicini al loro incontro, riuscitissimi grazie ad ottimi e sapienti ingredienti narrativi ben collaudati.

La musica resta in disparte, rimanendo un motivetto talvolta angoscioso, talvolta leggero tipico delle atmosfere più misteriose tipiche del genere giallo, facendo un grosso salto di qualità nel finale dove De Gaulle premia i partigiani, un sonoro che accompagnato dalle ottime coreografie dà un tocco di classe alla ritmata scena, dove uno spostamento di testa fa la differenza tra vita e morte. 

 

Zinnemann affronta il tema dell'identità attraverso due attori: un poliziotto e un criminale; Edward Fox interpreta magnificamente il freddo e astuto calcolatore senza un nome e un'origine: un Mattia Pascal che vive una condizione umana volta a soddisfare le proprie esigenze individuali e sociali. A seconda dei momenti egli si tramuta in un tragico erotomane, o in un illustre letterato a seconda delle esigenze e della compagnia, pronto a sfoggiare quel lato animalesco, quello sciacallo che dilania la sua preda senza pietà per realizzare i suoi bisogni. Alla fine resta solo un guscio vuoto, una bara senza nome, polvere siamo e polvere torniamo, nulla siamo e nulla diventiamo. Intrighi e travestimenti (fisici o psichici) sono abbandonati alla nostra fatua vita. 

 

A favore di riprese più significative, vengono però tralasciate le sceneggiature: talvolta i dialoghi sono clichè dei più conosciuti noir e nelle scene dove una maggiore verve sarebbe necessaria, il film perde un po' del suo realismo minuzioso: un esempio sono i poliziotti francesi resi quasi tragi-comici da copioni poco credibili. Tuttavia i tanti meravigliosi movimenti di camera, annientano i pochi momenti che fanno storcere il naso, eclissandoli.

Grosso lato negativo è la prima parte preparatoria molto greve: la lentezza con cui Zinnemann mostra il prologo ai fatti che accadranno nella seconda parte si protrae eccessivamente. Ad un certo punto le scene diventano piatte e reggere l'andamento ponderoso del film è dura. Forse la scelta di eliminare alcune scene sarebbe stata più saggia, così da alleggerire il contenuto.

 

Il terzultimo lungometraggio di Zinnemann è un avvincente inseguimento, magistrale e indimenticabile, che grazie al meticoloso lavoro del regista è accompagnato da inquadrature fenomenali e diligenti, più una fotografia ed un montaggio moderni per l'epoca, capaci di mantenere una suspance a livelli inimmaginabili.

L'estrema cura non è riscontrabile nelle scenografie e la prima parte cade in un dilungamento eccedente e pesante. Rimane un ottimo film sull'ambiguità dell'identità, una lunga corsa contro il tempo che lascerà il segno, nonostante l'anonima tomba.

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