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Il giorno dei lunghi fucili

Regia di Don Medford vedi scheda film

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La recensione su Il giorno dei lunghi fucili

di scapigliato
10 stelle

Con un Gene Hackman gigantesco, con una Candice Bergen bellissima, con un Oliver Reed ispirato, e delle locations che parlano da sole, il regista televisivo Don Medford non poteva essere che in stato di grazia e dirigere con spunto innovativo questo bellissimo e disperato spaghetti-western americano. Fin dal primo montaggio anticipato, alternato sulle due scene iniziali, sappiamo dove il film vorrà andare a parare. In una vediamo Gene Hackman che tenta con la forza di avere un rapporto sessuale con sua moglie, la Bergen, ma non ci riesce forse per impotenza. L'altra scena è lo scuoio di una mucca da parte della banda di banditi capeggiati da Oliver Reed. Girato in riconoscibilissimi luoghi almeriensi come Polopos e la Texas Hollywood, fino alle bellissime dunas de Mazarelleque, vicino a Cuenca, "Il Giorno dei Lunghi Fucili" ovvero "The Hunting Party", è un film sì altalentante, ma nei suoi momenti migliori è davvero uno spettacolo crudo, secco, spietato e impietoso. Una parabola di violenza legata a implicazioni sessuali, le prime a spingere verso il confronto duro e maschio tra gli uomini. Si sa, l'uomo da sempre gioca a chi piscia più lontano, o ancora meno metaforicamente, si sfida sulla lunghezza del proprio membro, testa quindi la sua virilità. E i lunghi fucili del titolo, nonchè le armi usate da Hackman e cricca per massacrare i banditi, sono chiari ed evidenti richiami al membro maschile. Sesso e violenza vengono così a galla come le componenti fondamentali di tutte le patologie sociali. L'insoddisfazione sessuale genera violenza, odio, cinismo e sopraffazione, che è anche la parola chiave della società capitalista e consumista. Ma la violenza è anche un surrogato di una sessualità repressa che altrimenti non riesce a sfogarsi. Il richiamo del primo montaggio anticipato, alla "Easy Rider", che accosta lo sventramento di un animale con l'atto sessuale, è chiaro e lampante. Altri segnali sono il gioco alla caccia, dove Hackman e compagni inseguono e braccano i banditi come se fossero animali, o meglio orsi come parafrasa uno di loro; oppure il ribaltamento visto anche in Wes Craven dove i minacciati (Hackman) diventano gli aguzzini, invertento i segni tra buoni e cattivi. Questo poi è un'altro segnale, più strutturale, che richiama la tendenza di quegli anni a ribaltare l'etica della Frontiera. Esteticamente, poi, ecco che Medford fa sua la lezione peckinpahniana di rallenty e corpi maciullati dai propiettili. Non è solo una scoppiazzatura, ma proprio un recupero filologico di uno sguardo cinematografico reso grande dal celebre regista de "Il Mucchio Selvaggio". Il cast poi è molto valido. Oliver Reed, abituato a film europei di generi diversi, si trova bene anche in questo western estremo. Candice Bergen s'incontra con Gene Hackman per la prima delle tre volte che li vedremo assieme. Era una delle attrici più belle e brave dell'epoca e i suoi ruoli le rendono giustizia. Hackman, ovviamente, è un gigante. Da notare come la sua eleganza riesce a dominare la follia omicida del suo personaggio. Ammicca, ride, strizza gli occhi al sole. Fa di tutto per nascondere il proprio sadismo, la propria follia, la propria turba sessuale. Saranno le sue azioni sadiche ed iperrealiste ad evidenziarne i tratti diaboloci.
Un film quindi che esteticamente non ha nulla da invidiare alle opere maggiori di quell'epoca e di quel genere. Strutturalmente cede di ritmo in coincidenza a moduli non proprio accattivanti, ma tutta la prima parte, l'assedio all'oasis, quello a Polopos e il confronto finale nel pieno deserto, sono gli highlights pù evocativi del film. E sono anche dei luoghi dell'anima aspri, inospitali, spietati e impietosi. Perchè il western è lo scenario di tutte le nostre umane passioni, siano esse buone o cattive.

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