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Melissa P.

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Melissa P.

di giancarlo visitilli
4 stelle

Eastpak, Sony Erickson, Nike, ma anche Warner Bros… sono i cento (durissimi) colpi di pubblicità che in modo sfacciato e pedante vengono offerti gratuitamente allo spettatore di Melissa P., del regista Luca Guadagnino, qui al suo quarto lungometraggio di finzione.
Non un film (sarebbe un’offesa al Cinema definirlo tale), ma una delle operazioni più tristi e pericolose che in questo momento possa passare fra le programmazioni nelle sale.
La pretesa è già pretestuosa: come potrebbe mai un brutto libro, il porno-diario, “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire”, diventare un buon film? Infatti, in questo si sfiora il ridicolo e il grottesco, sia a causa degli eventi, ma soprattutto per una regia scialba e una sceneggiatura imbarazzante.
Sin dalle sequenze iniziali, le perverse intenzioni registiche lasciano intendere che si assisterà ad un’opera ammiccante (il frame di apertura ci mostra a pieno schermo un seno della giovane Valverde). In realtà, ben presto tutto si stempererà in una serie di situazioni softcore accennate, che insinuano ma non dicono, costruite apposta per soddisfare la morbosità di un pubblico adolescente a vita.
L’amore passivo di Melissa per quel Daniele che le ruba la verginità e trasforma la sua innocenza in indecenza, mediante perversi giochi sessuali, sembra solo un pretesto per mettere in scena i turbamenti sessuali di ragazzini senza cervello, ma con grandi progetti custoditi sotto la cintura.
Nonostante il film sia stato scritto a sei mani, dal regista, insieme a Barbara Alberti (già sceneggiatrice per Marco Ferreri, Liliana Cavani, Tinto Brass) e Cristiana Farina (Dino Risi, Monicelli), la parte peggiore del film se la guadagna proprio la sceneggiatura, attraverso il racconto di una madre troppo sbadata, che vede in Melissa ancora una bambina dall’età dell’innocenza, e un personaggio assente nel libro, ma che qui diventa fondamentale per lo sviluppo drammaturgico, quello della nonna, interpretata da una Geraldine Chaplin, (non solo scomodata per questo filmetto, ma invecchiata eccessivamente nel film di almeno una cinquantina d’anni), una donna innamorata della musica che riesce, più di tutti, a leggere nello sguardo la nipote. E se spesso ci si lamenta del fatto che il cinema, come ogni arte, oggi più di ieri, è fortemente caratterizzata da un maschilismo esasperante, in Melissa P., c’è quel desiderio di machismo senza del quale sembra che ognuna delle donne del film viva una profonda solitudine, che le porta di conseguenza a sopperire volgarmente e in modo stomachevole a quel desiderio di sessualità che i bambini (meglio di qualsiasi adulto) definirebbero “sporca”. Si, perché nonostante il film abbia avuto la censura per i soli dodicenni, avrebbe meritato quella per i diciottenni, in modo che questo film non fosse visto da nessuno. La sua “pericolosità” sta nella capacità di sedurre e ammiccare ogni buon adolescente, attraverso lo strumento pubblicità-sessualità: l’unico connubio che mantiene in piedi il film.
Che dire poi del naturale rancore suscitato verso il maschio, insieme al desiderio di vendetta. Chissà se Claudio Amendola, Francesca Neri (tra i produttori del film) abbiano tenuto conto che la maggior parte degli spettatori del film sarebbero stati i coetanei, più o meno, delle loro figlie che da mattina a sera sembrano non fare altro che videochiamarsi con il cellulare, stesso mezzo utilizzato da Melissa per comunicare con suo padre, figura assolutamente assente. Quindi, qual è la conclusione: che senza padre non si può crescere e che basterebbe avere con-tatti con l’organo sessuale maschile per avere un’idea di cosa sia oggi la virilità?
Dispiace anche che il film sia stato ambientato in una delle nostre più belle città pugliesi, Lecce, che si è prestata a nascondere i desideri osceni e sotterranei (molte le scene girate nei sotterranei del castello) della protagonista e delle sue compagne, solleticando e stimolando furbescamente svogliati pruriti pedofili che giustificherebbero comunque una censura ai maggiori di 18, oltre che l’esclusione dal mondo del cinema di una storiella come questa.
Giancarlo Visitilli


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