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Oliver Twist

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su Oliver Twist

di giancarlo visitilli
6 stelle

Torna uno dei più grandi registi viventi, il Premio Oscar Roman Polanski, dopo l’immenso Il pianista, con un film tratto dall’omonimo romanzo del geniale narratore della letteratura dell’800, Charles Dickens, Oliver Twist.
Il regista polacco si confronta nuovamente con il cinema in costume, di ricostruzione storico-letteraria, raccontandoci, con un’eccessiva fedeltà al testo, i trascorsi dello sfortunato orfano Oliver e la Londra di inizio ‘800. Qui il piccolo Oliver scappa dall’orfanotrofio gestito dal perfido Sig. Bumble e si unisce ad un gruppo di ladruncoli di strada che fanno capo al vecchio Fagin. Durante una delle scorribande del gruppetto di furfanti, Oliver viene arrestato mentre gli altri ragazzi riescono a farla franca. Tuttavia, quella che potrebbe essere una disgrazia, si rivela per il piccolo orfano una svolta felice perché in suo aiuto giunge il facoltoso Sig. Brownlow, che testimonia in suo favore e dopo averlo fatto scagionare lo accoglie nella sua bella e confortevole casa.
Apparentemente può apparire come un’opera semplice, ma sin dalle prime immagini si ha a che fare con uno spirito animato dalla verve politica e un’assoluta mancanza di quell’intento pedagogico che ci saremmo aspettati. La messa in scena calibratissima, equilibrata e di grande eleganza e rigore formale, conferisce all’intera opera quell’aurea di classicità, come solo pochi registi sanno fare.
Certo, è impensabile che un bambino possa vedere il film, non per la violenza, quanto per la descrizione oscena di un mondo adulto, sempre meno attento al mondo dell’infanzia. Perciò Oliver Twist è un film potente, con una narrazione essenziale, tipica di quei padri che educano i loro figli non a suon di mille e più parole, ma con l’esempio e i gesti concreti. “Pensavo che fosse mio dovere realizzare un film per i miei figli perché loro si sono sempre interessati al mio lavoro” confessa Polanski.
Sorretto dalle straordinarie interpretazioni dei suoi protagonisti, da affascinanti ricostruzioni scenografiche (Allan Starsi: Schindler’s List) e da una fotografia plumbea e ricca di fascino (Pawel Edelman: Ray), rintracciabile solo nella pittura fiamminga e nel nostro Caravaggio, Polanski rende palpabile e materiale la povertà che è dietro l’angolo in quella città destinata qualche anno dopo a divenire per tutti la city. Non solo, anche i personaggi, rispondono benissimo al desiderio di raccontare fin nei particolari quell’abbrutimento dell’essere umano, che si appresta ad essere, di lì a poco, dominato dall’industrializzazione forzata. D’altronde tutto ciò corrisponde alla stessa vita dell’autore del romanzo, Dickens, che, figlio di un carcerato e abituato al lavoro duro fin dall’infanzia, oggi avrebbe ancora molto da raccontare ad un mondo abitato da bambini “costruiti in serie”, tutti Kinder e Play Station.
Tuttavia, pur apprezzando la rigorosità e l’eleganza di questo nuovo lavoro di Polanski, mai potremo dimenticare Le avventure di Oliver Twist, di David Lean, che, seppur datato (1948), diversamente dal regista polacco, si distingueva per il racconto assolutamente più favoloso, meno ispido e non reale. Ma allora si potevano ancora raccontare le favole…
Giancarlo Visitilli

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