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I giganti uccidono

Regia di Fielder Cook vedi scheda film

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Dany9007

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I giganti uccidono

di Dany9007
8 stelle

Fatta eccezione per film attenti alla sopraffazione della classe operaia nel mondo del lavoro, mi vengono alla mente titoli come Metropolis o Tempi moderni, piuttosto che opere come Furore o Com’era verde la mia valle il contesto lavorativo visto da una prospettiva manageriale negli anni ’50 era molto in anticipo sui tempi. È proprio il caso di I giganti uccidono dove il mondo produttivo sostanzialmente rimane solo citato tra le varie riunioni del “board” aziendale, anche se in ottemperanza al linguaggio dei tempi sarebbe più portati a dire alle riunioni di “direzione aziendale”, e non abbiamo nemmeno una sequenza girata tra macchinari o tra i “blue collar” al contrario assistiamo alla parabola del brillante dirigente Fred Staples, interpretato dal sempre ottimo Van Heflin, che orgoglioso di entrare a far parte del top management di un’importante azienda di Manhattan, si trova ben presto a constatare di aver acquisito un ruolo che andrà sostanzialmente a fare le scarpe al più attempato collega Bill Griggs, uomo di grande valore e dedizione all’azienda, ma lontano dai metodi cinici e rapaci del suo amministratore Walter Ramsey. Griggs, fedele ai principi del fondatore dell’azienda, nonché padre di Ramsey, esce sempre più umiliato e sconfortato dagli accesi contrasti con l’amministratore, che quest’ultimo tenta sempre più di acuire per spingere Griggs a delle dimissioni volontarie senza licenziarlo. Per Staples queste situazioni sono motivo di sempre maggiore apprensione: se da una parte l’ambizione di acquisire prestigio nella propria posizione sia forte, dall’altra Staples non ha dubbi sulla bontà d’animo che guida Griggs tanto da vedere in lui una figura quasi paterna. L’ennesimo prova di stress nei confronti di Griggs gli sarà fatale e per questo Staples decide di affrontare a muso duro Ramsey che nonostante promesse di ricchezza e di incarichi prestigiosi dovrà acconsentire ad concedergli un ruolo di pari livello con l’aperta volontà da parte di Staples di volerlo scalzare dal ruolo di comando dell’azienda. A parte l’epilogo un po’ paradossale, con Staples che diviene una risorsa talmente bramata dal suo responsabile tanto da accettarlo come “avversario”, il film sviluppa un’attenzione al mondo dei dirigenti ponendo in risalto ambizioni, frustrazioni e stress che sarebbero state oggetto sempre più frequente della rappresentazione hollywoodiana dei top manager nei decenni a venire. Difatti fatta eccezione dell’ottimo film La sete del potere, in cui già osserviamo le bramosie per la successione ad un incarico dirigenziale, difficilmente al cinema il tale contesto trova una replica sostanzialmente realistica ed appassionante. Difatti al più Hollywood si era mossa nel mettere alla berlina la ferocia dei meccanismi economici dietro agli ambienti dello spettacolo (Il bruto e la bella, Viale del tramonto) o del mondo giornalistico (Quando la città dorme). Qualche anno dopo sarebbe stato Billy Wilder ad irridere la dirigenza di una compagnia assicurativa con il film L’appartamento dove i manager dell’azienda garantiscono promozioni al bistrattato protagonista grazie ad un appartamentino essi possono usare come pied-à-terre. Ma bisognerà aspettare gli anni ‘70/’80 prima di vedere tale contesto più esplorato nelle sue criticità. Mi viene alla mente Quinto potere, con le logiche di ferocia del business giornalistico e poi il ciclo di film legati al mondo finanziario come Wall Street o quello dei venditori in Americani. In parallelo anche il cinema italiano si era mosso, sempre in modo meno spettacolare, ma non per questo meno incisivo attraverso una prospettiva per certi versi più caustica ma sempre “dal basso”: nel 1961 Ermanno Olmi realizzò lo splendido Il posto ove vediamo l’iniziazione di un giovane ragazzo di provincia nella grande azienda milanese, nonché i piccoli grandi drammi degli impiegati; e naturalmente è impossibile non citare la maschera che più di ogni altro ha rappresentato le frustrazioni e le vessazioni dell’impiegato schiacciato da una gerarchia aziendale da ancient règime ossia il Fantozzi di Salce e Villaggio (in questo caso appare difficile separare il regista del film dall’attore che ne era protagonista). Di conseguenza reputo questa pellicola sensibilmente audace nel porre con toni drammatici l’attenzione su questo contesto soprattutto a metà anni ’50.  

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