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Specchio magico

Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film

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La recensione su Specchio magico

di OGM
8 stelle

L’immagine è donna. La vista è l’unico dei cinque sensi ad avere un nome di genere femminile; essa è, in qualche modo, la progenitrice dell’arte, della rappresentazione della realtà e della fantasia, la modalità più elementare di comunicare e tramandare. Un segno tracciato su una superficie può essere sia evanescente, come un’impronta nella sabbia, sia eterno, come un’incisione nella roccia, e, in ogni caso, è una forma primitiva e universale di espressione umana. Un misto di evanescenza ed eternità come il volto della Vergine Maria, che è sporadica apparizione, ma anche icona imperitura. Lo specchio non è necessariamente il simbolo della vanità: la sua funzione principale è il confronto, tra sé e gli altri, tra le proprie sembianze effettive e quelle presunte o sognate. E il riflesso è anche un modo per guardarsi dall’esterno, per vedersi invertito e sdoppiato, per scoprirsi estranei a se stessi, ed essere così indotti a conoscersi meglio. Lo specchio riproduce le figure, per consentire il paragone tra l’originale e la copia, tra il modello ideale e il soggetto concreto: “imitazione” è la parola chiave, riproposta da Manoel Oliveira nella veste sacramentale della “imitatio Mariae”, alla quale pare dedicata l’intera esistenza di Alfreda. La sua ossessione è la Virtù, il metro su cui tradizionalmente si misura il valore di una donna, esattamente come quello dell’uomo si misura sul talento. E se i talenti sono tanti e diversi, come quelle particolari doti personali che distinguono ogni musicista da tutti gli altri, la Virtù femminile resta una sola, quella di cui è portatrice la Madonna; una virtù granitica, difficile da adattare alle condizioni di ciascuna donna; una virtù “specchiata”, “immacolata”, che è come un’immagine nuda, inconciliabile con la ricchezza e la complessità del mondo terreno. È questo insanabile contrasto a sprofondare Alfreda nell’incoscienza, nell’assenza di ogni percezione, nel rifiuto di tutto ciò che possa offuscare la purezza di quell’Entità priva di attributi. La soluzione non sta nel “vedere”, come credono gli uomini che la circondano, bensì nel “non vedere”, che è tutt’uno col “non essere”, con la volontà di liberarsi di un fardello e di annullarsi. In questo film l’uomo è colui che sa e insegna, che agisce e giudica; la donna, invece, è colei che, in silenzio, ascolta e aspetta.

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