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I segreti di Brokeback Mountain

Regia di Ang Lee vedi scheda film

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La recensione su I segreti di Brokeback Mountain

di giancarlo visitilli
8 stelle

Ricordate i cieli di John Ford, Cooper in Mezzogiorno di fuoco, Wayne in Sentieri selvaggi, Ladd in Il cavaliere della valle solitaria, Flynn in Custer? Niente di più distante vi è in questo straordinario western melodrammatico (inteso nell’accezione più moderna del termine) del Leone d’oro all’ultimo festival di Venezia, Ang Lee.
Brokeback Mountain (4 Golden Globe), infatti, è uno dei film tra i più classici e rigorosi che c’è in giro, per la messa in scena, ma anche per la narrazione in sè. E’ tratto dal racconto di Annie Proulx, premio Pulitzer per ben due volte.
Siamo nell’America rurale e ancora primitiva (se messa in rapporto a robot come Bush), e precisamente nel Wyoming dei primi anni Sessanta, gli anni del Vietnam non della Frontiera, tutta paesaggi sconfinati ed antiche tradizioni, in cui la gente trascorre la propria vita nel “recinto” dei ranch, fra i rodei in cui alla polvere delle zufolate fanno riscontro le “nebbie” che offuscano il tormento di due cowboy, dall’inclinazione sessuale abbastanza chiara sin dall’inizio, ma abbastanza inammissibile in una società machista e bigotta come quella a cui appartengono. Due gay, due persone, l’uno dal fisico rude e l’altro muscoloso, due caratteri agli antipodi: uno decisamente più solare, innamorato della vita e soprattutto meno incline a nascondere la sua natura dietro la rispettabilità delle convenzioni (il bravissimo Jake Gyllenhaal); l’altro, invece, sembra portarsi dentro un peso insopportabile che lo rende tremendamente cupo ed introverso, apparentemente duro, ma represso nell’esternare qualsiasi sentimento (Heath Ledger in stato di grazia).
Il Caso vuole che i due s’incontrino su una montagna sperduta, isolata dal mondo. La loro iniziale unione, segnata dal lavoro duro e annichilente per entrambi, legherà definitivamente le loro esistenze.
In tutto ciò, Ang Lee è lontano da quel cinema che lui stesso, negli anni passati, ci ha mostrato: spettacolare, abitato da tigri e dragoni, cavalcanti diavoli (Hulk, 2003; La tigre e il dragone, 2000; Cavalcando con il diavolo, 1999). In Brokeback Mountain la specialità consiste nell’aver firmato un film intimo e suggestivo, dalla rara forza emozionale, dalle scelte stilistiche che più classiche non si può, affidando ruoli molto difficili a due giovani attori, la cui recitazione consiste solo di sguardi, grande fisicità ed effusione massima di sentimenti. Anche se da sempre il Cinema di Lee ci ha mostrato l’ambiguità sessuale, dal suo primo film, Banchetto di nozze, fino al wuxia-pian La tigre e il dragone, in cui Zhang Ziyi é spesso travestita o scambiata per uomo. Quel che più conta è, però, la ricerca, altrettanto onnipresente nel Cinema del regista taiwanese, dell’accettazione del proprio io, meglio accentuata in Hulk.
Tuttavia, in Brokeback Mountain, Lee avrebbe potuto dirci di più sul rancher Joe Aguirre, colui che scopre, spia, è curioso e disgustato della visione di un amore gay. E’ lui, in fondo, che rappresenta, nel plot del film, l’essenza dell’odierna società, spiona e quanto mai ipocrita. Invece, ci ha pensato poi un paese come l’Italia, ipocattomofobica, a porci la sua firma e a preferire al titolo originale del film, l’accezione di “I segreti”. Perché si è ancora convinti che l’omosessualità è un “qualcosa” da non svelare, tenere nascosta all’interno delle mura domestiche e parrocchiali, che non debbano assolutamente avere la giusta visione (panoramica, naturale, paesaggistica), a cui vuole abituarci Ang Lee, che comunque ci racconta di come i gay “vanno all’inferno”, a prescindere dal loro credo (pentecostale l’uno, avventista l’altro). Come se in natura valesse la regola della religione.
Da giusta cornice alle immagini funge la minimalista chitarra, dai brevi accordi, di Gustavo Santaolalla. Il country trascritto per partiture paesaggistiche. Il resto è immagine: di nuvole, di cieli aperti, di fiumi e di greggi di pecore che ‘pascolano’ per tutta l’inquadratura.
Intensissima la scena del primo rapporto sessuale tra i due protagonisti: una delle scene di sesso migliori della Storia del Cinema. Sebbene la violenza carnale/mentale/spirituale la fa da padrona, si tratta di quella sessualità così sofferta, anche dalla stessa macchina da presa, che in Lee assume una fisicità animalesca, un erotismo quasi sadomasochistico fra due amanti consapevoli che “Se non hai nulla, non hai nulla da perdere”. Ciò che alla fine rimane è l’odore del sangue (della sofferenza) intriso in una camicia che odora di Persona che un tempo fu.
Giancarlo Visitilli

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