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Il generale Della Rovere

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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La recensione su Il generale Della Rovere

di SamP21
8 stelle

 

Nel 1959 tra i tanti film eccezionali italiani usciti nelle sale, ne escono due che riescono, in modo diverso ma altrettanto interessante, a parlare dell’Italia dell’epoca, in modo ancora attuale: La Grande Guerra di Mario Monicelli e Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini.

 

La trama in breve:

Giovanni Bertone è un piccolo truffatore che, fingendosi colonnello dell’esercito, truffa i familiari dei prigionieri dei tedeschi. Un giorno è scoperto dalla Gestapo e arrestato. In cambio della libertà le autorità gli chiedono di collaborare raccogliendo informazioni sui partigiani in carcere.

 

Visto oggi il film, ai tempi del covid-19, assume un valore simbolico importante, perché l’Italia e in parte l’Europa non vivevano una situazione così grave da decenni e allora il film ci ricorda l’importanza del singolo, per salvaguardare una comunità.

 

Siamo nel 1959, il Neorealismo è alle spalle e Rossellini lo ha superato da anni, andando in altre direzioni, ma con questo film torna al periodo della guerra e lo fa con un ritratto sicuramente controverso, all’epoca molto criticato per i contenuti e dopo per la tecnica.

Tratto da un racconto di Indro Montanelli, il film ci introduce ad una storia vera, portando sullo schermo un personaggio che ha tutti i crismi dei migliori personaggi della commedia all’italiana, è un uomo piccolo, meschino, ma non cattivo.

Rossellini e prima di lui Montanelli ci mostrano il suo ritratto in tutta la sua bruttezza, è un uomo che pur di giocare a carte venderebbe anche la madre, difatti “ruba” i soldi ai disgraziati parenti di militari o di uomini imprigionati dai tedeschi in cambio di un qualcosa che difficilmente avverrà.

 

Bisogna capire il periodo, la guerra, e capire l’uomo, che ormai va verso i sessant’anni e per sopravvivere non ha trovato che questo modo, nel frattempo la guerra persiste, la resistenza diventa sempre più forte e i tedeschi sono impauriti, attaccati su tutti i fronti dell’Europa.

 

Il film rappresenta un unicum nella storia del cinema, perché nel rileggere un periodo storico, all’epoca molto vicino temporalmente, il regista sceglie per protagonista un attore e un regista tra i più importanti della storia del cinema, Vittorio De Sica che proprio insieme a Rossellini è il padre del neorealismo, lo sceglie per il suo primo grande ruolo drammatico.

 

De sica è in parte un co-autore del film perché nessuno sarebbe stato in grado di rappresentare al meglio questo furfante che, a poco a poco, capisce cosa sta succedendo, cosa si sta combattendo fino al tragico e commovente finale. La commedia all’italiana impazzava e De Sica aveva contribuito come attore a farla crescere.

Rossellini, pur in un film drammatico, rilegge da una parte le attitudini del neorealismo, perché muta la forma della sua regia, sempre rigorosa, come mutano le sue scelte, non ci sono più gli attori presi dalla strada, ma un cast di tutto rispetto, anche e soprattutto nei ruoli femminili e dall’altra ci consegna un personaggio che è l’emblema della commedia all’italiana.  Un personaggio che seppur all’ultimo, con un momento catartico, riesce a riscattarsi.

 

Il protagonista, un po’ accidentalmente, si ritrova alla fine a capire che ogni individuo ha una responsabilità singola che è anche comune e comunitaria, ecco l’importanza di un film che ci mostra in poco più di due ore, con una struttura classica, ma sempre emozionante, cos’è, forse, un italiano.

 

In partenza il protagonista è un vigliacco che vive di mezzucci, come molti italiani all’epoca e ancora oggi, lo steso De Sica aveva già in precedenza rappresentato grandiosamente vizi e virtù italiche così come Totò, dopo di loro arriverà un’altra maschera a rappresentare una certa Italia, quella dell’Albertone nazionale, ma qui De Sica, come capiterà poi a Sordi, riesce ad incarnare al meglio nel suo personaggio gli umori del periodo, nel bene e nel male. Rossellini attraverso questo ruolo riesce meta-cinematograficamente a parlare delle due grandi scuole del cinema italiano e lo fa con assoluto tempismo e con proprietà di linguaggio.

 

In molti all’epoca criticarono la raffigurazione della Resistenza fatta nel testo e poi nel film, sbagliando mira, perché nel film si parla di un episodio piccolo che spiega bene il temperamento di molti italiani, almeno all’epoca, capaci di nefandezze, di bassezze, ma in fin dei conti capaci anche di trasformarsi in piccoli-grandi eroi, forse casuali, ma a modo loro degli (anti)eroi da ricordare.

 

La Resistenza poi viene mostrata nel carcere attraverso le figure di questi uomini reclusi per il loro impegno contro il regime e contro il nazismo.

 

Il film vinse a Leone d’Oro a Venezia ex-equo con La Grande Guerra, per molti il secondo, a ragione, è un film migliore, più importante; eppure si tratta di due film molto diversi tra loro, se vogliamo questo Rossellini rimane un esempio unico di cinema classico che riesce a rileggere allo stesso tempo più correnti di una cinematografia che incarna in sé il cambiamento di visione rispetto ad un tema, che sancisce l’importanza assoluta di attore, anche tragico, del grande Vittorio De Sica.

 

Come tanto cinema successivo, Rossellini ci mostra il ravvedimento di un uomo, attraverso un racconto lineare, tragico ed emozionante, che porta ad un finale che non si può dimenticare.

 

 

 

Voto 8,5

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