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Il generale Della Rovere

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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La recensione su Il generale Della Rovere

di Decks
9 stelle

Rossellini torna ai temi bellici e resistenziali che lo resero famoso attraverso la sua indimenticabile "Trilogia della Guerra"; un ritorno alle origini, questo, che diede modo a De Sica di togliersi di dosso le sciocche macchiette degli ultimi tempi e al regista romano, di inscenare differentemente stile e tono di questo racconto, nonostante la somiglianza di tematiche.

 

Il dibattito politico-culturale, difatti, non è l'interesse principale di Rossellini: egli è ben più interessato a riflettere sull'individuo, sulle sue paure, i suoi vizi e i suoi pensieri; inscenando una storia che Pirandello avrebbe non solo apprezzato, ma ammirato.

Rossellini a proposito del suo film scrisse: "Ho voluto dimostrare che nel mondo attuale non esistono più eroi". Se questo era l'obiettivo del regista, allora la pellicola ha centrato appieno una realtà che non ammetteva l'esistenza di un paladino della giustizia, o, leggendo il titolo, di un ipotetico e leggendario generale: quest'ultimo, altri non è che un partigiano che rimarrà ucciso e poi sepolto senza che nessuno abbia più sue notizie.

Nessuna azione eroica, solo la fama; un'ombra, questa, di cui si apprioprierà il volto Emanuele Bardone.

Egli è l'esatto contrario del generale: è una persona senza scrupoli, dedita al gioco d'azzardo e alle truffe. Inconsciamente e casualmente, il basso e ipocrito Bardone si troverà a scontrarsi con il magnificente e patriottico Della Rovere: costretto a indossare una maschera che lo cambierà per sempre.

Bardone indossa un emblema da cui prova a sfuggire inutilmente, causa i dinieghi del colonnello Muller, sconcertato da quella vita in carcere e dai panni dell'uomo che indossa.

Ritrovatosi a contatto con uomini coraggiosi aventi il senso dell'onore e della dignità, Bardone diviene quell'uno, nessuno e centomila che la splendida opera pirandelliana descrive superbamente: all'indecisione sull'essere una spia, un truffatore, un generale, o persino nessuno, Bardone sceglie di morire come un eroe della patria, accettando quel percorso di sofferenza che lo hanno fatto diventare uomo.

Il suo ultimo grido, sia scritto ai posteri, che urlato ai suoi boia decreta la scomparsa di Bardone ma l'immortalità di Della Rovere:

VIVA L'ITALIA!

 

 

Non vi è cinismo, ma solo una gran forza nell'ideale del sacrificio e della presa di coscienza in questa pellicola, a cui si accompagnano degli aspetti secondari che rimandano un perfetto ritratto dell'Italia durante l'occupazione nazista.

Una Genova distrutta, i cui unici abitanti sono i vecchi e le donne, tristi e amareggiati non solo dai bombardamenti, ma dai figli e i mariti ingiustamente perseguiti e uccisi; persone che preferiscono rifugiarsi nella vaga speranza che gli offre un uomo vile, gioendo in quelle false notizie e facendo sgorgare una lacrima anche allo spettatore più duro di cuore, una volta visto un vecchio che vendendo tutti i suoi beni e ipotecando la casa, anzichè avere salvo il figlio, i suoi risparmi sono gettati sul tavolo verde.

Bardone non è solo circondato da personaggi secondari, ma dai muri, che sono un ambiente dominante della pellicola: si inizia con una lunga carrellata sui muri di Genova, tappezzati di manifesti recanti giustizia sommaria, più un "vinceremo" che ironicamente nel suo essere sbiadito e posto su un muro semi-distrutto sottolinea la ben differente situazione dell'Italia; le mura della prigione di San Vittore sono anch'esse importanti nel suo essere oppressive, buie, di un gelido bianco-nero che avvolge Bardone tra i suoi pensieri e le torture subite; per finire, poi, su quel muro della fucilazione, meno funesto dei mattoni del carcere, denota invece riscatto e dignità.

 

Come disse giustamente Pasolini, Rossellini è capace di togliere nuovamente la maschera dall'Italia e vedere la sua vera faccia: quella di Bardone è una figura tragicomica, scritta meravigliosamente e interpretata egregiamente da Vittorio De Sica. Il suo personaggio è sofferto, intimo e nel finale addirittura epico; impossibile da dimenticare la bravura con cui l'attore si sposta dallo speculare sulle disgrazie altrui, accompagnato da un raffinato sillabario e un sorriso perenne, alla tormentata fase di prigionia, ove rimane in un autorevole silenzio ad osservare e talvolta piangere per quelle situazioni, per poi rispondere coraggiosamente al gerarca nazista: "Che ne sa, lei, di una notte come questa".

Non è da dimenticare neppure Hannes Messener che dà vita ad un nazista non più stupidamente violento (come avveniva invece nei precedenti film di Rossellini) ma raffinato e sinistro: il suo raziocinio e il suo implacabile volto gelido riscrivono la personalità degli invasori; rimane indimenticabile quando discute con Bardone in dei confronti che sono centrali per la storia. I loro tentativi di cogliere le motivazioni alla base del loro agire e superare le incomprensioni è una prova di impersonale lucidità.

 

Tecnicamente Rossellini dimostra ancora una volta di avere il pieno controllo della cinepresa: abbandonando le riprese documentaristiche, forse accoglie uno stile più facile e popolare, ma nulla toglie la maestria del regista nelle sue carrellate e negli emozionanti primi piani, capaci di dare una forza unica a questo racconto.

Tante le scene che meritavano di essere messe in pausa per rimirarne i contenuti: il biglietto con le ultime parole di Bardone, la lunga fila di truffati, l'anziano Aristide Banchelli che muore suicida in onore delle sue convinzioni, Bardone che rimane slegato e orgogliosamente in piedi ad affrontare i cannoni della morte e così via.

Indro Montanelli scrive un bellissimo copione, lasciando la resistenza e l'Italia sullo sfondo: senz'altro commovente, è anche vero, però, che nella seconda parte la vita in carcere scorre con ripetitività, sia di scenari che di avvenimenti.

Il crescendo emotivo del finale è sicuramente perfetto, ma nelle scene precedenti manca quella tensione narrativa che aveva caratterizzato l'intero film; l'unica è la scena in cui Bardone ascolta la triste e stupenda lettera della moglie di Della Rovere.

 

Un film toccante e poetico, articolato e con una prova esemplare di De Sica. Il sapiente Rossellini con una regia e una fotografia (di Carlo Carlini) stupende, dà una vera lezione di cinema, malgrado abbandoni la fedele storicità della sua "Trilogia della Guerra" fa appassionare all'individuo e alle sue maschere, terminando, non con la morte dell'uomo ma la gloria eterna di un simbolo. 

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