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Il generale Della Rovere

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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La recensione su Il generale Della Rovere

di steno79
8 stelle

Con la vittoria del Leone d'oro alla mostra di Venezia nel 1959, "Il generale Della Rovere" riportò Roberto Rossellini all'attenzione della critica e del pubblico italiano, dopo anni in cui il suo sodalizio artistico e umano con Ingrid Bergman aveva prodotto film che all'epoca non erano stati capiti e apprezzati, con poche eccezioni. Pur con alcune eccezioni, come quella di Gianni Rondolino che nel suo Castoro sul regista considera "Il generale Della Rovere" un film sostanzialmente poco riuscito, il film ha riscosso molti consensi, e a distanza di tanti anni si direbbero meritati: è un ritratto tragico di un piccolo impostore, Bertone, che dopo essere stato catturato dai tedeschi e costretto ad impersonare il fantomatico generale Della Rovere, nella realtà già ucciso, per servire gli interessi della Gestapo, nella parte finale accetta il martirio per conquistare una sorta di riscatto morale.

Lo stile riprende l'immediatezza cronachistica dei capolavori del regista come "Roma città aperta" o "Paisà", ma con una scrittura articolata in lunghi piani sequenza che è senz'altro debitrice dei film della cosiddetta Trilogia della Solitudine, e una maggiore attenzione al dato psicologico dei personaggi rispetto ai film dell'immediato dopoguerra. Molta dell'efficacia del film proviene indubbiamente dall'interpretazione drammatica di Vittorio De Sica, che si può considerare una delle migliori della sua intera carriera, ben affiancato dall'attore tedesco Hannes Messemer nel ruolo del colonnello nazista e, in ruoli di contorno, da Sandra Milo, Vittorio Caprioli e Anne Vernon.

Il film è certamente un dramma che nella lunga parte carceraria si può definire quasi "da camera", ma va dato atto a Rossellini e ai suoi abituali cosceneggiatori Amidei e Fabbri di aver contaminato il dramma nella prima parte con elementi da commedia all'italiana che non guastano, per quanto il rischio del bozzettismo sia evidente in diverse situazioni. Nel complesso una buona riuscita, probabilmente superiore rispetto al coevo "Era notte a Roma", e l'unico film in cui lavorarono insieme i due maestri del Neorealismo, con un De Sica che conferisce alla parte dei coraggiosi tratti autobiografici come il vizio del gioco.

Voto 8/10

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