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Il gatto a nove code

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Il gatto a nove code

di maghella
8 stelle

 

Il gatto a nove code” è il secondo film di Dario Argento, non molto amato dal regista, che lo ha rivalutato solo da pochi anni.

Questo aspetto di “odio amore” l'ho avuto anche io per questo film, che della trilogia degli animali è quello che preferivo di meno.

 

Ultimamente mi sono ricreduta. Visto qualche anno fa sul grande schermo all'interno di una rassegna, rivisto un paio di volte negli ultimi mesi in tv, “Il gatto a nove code” è un bellissimo film, pieno di ricchi particolari, citazioni e ottimi spunti creativi.

 

Franco Arnò (Karl Malden) è un ex giornalista, diventato in seguito un enigmista, non vedente a causa di un incidente, vive con la piccola nipotina.

Durante il rientro a casa da una passeggiata, ascolta un frammento di una discussione all'interno di una macchina parcheggiata. Da lì a poche ore nell'istituto di ricerca genetica accanto a casa di Arnò, si consuma un furto con tanto di omicidio del portiere all'entrata.

L'istituto Terzi è una clinica specializzata in ricerche genetiche, e gli studi degli ultimi mesi sono volti alla scoperta di un gene specifico e raro che indicherebbe nell'uomo fin dalla nascita la predisposizione a delinquere.

 

Dopo la scoperta del primo omicidio, Arnò decide di informare il giornalista Giordani (James Franciscus) della strana conversazione udita la sera prima. I due cominciano le loro personali indagini, che si costellano di efferati omicidi. Omicidi che eliminano uno a uno tutti i possibili testimoni.

 

Anna Terzi (Chaterine Spaack), la figlia del primario della clinica, diventa presto la prima sospettata.

Ma presto anche tutti i medici vengono sospettati o uccisi in maniera violenta e brutale.

Anche Arnò e Giordani rischiano di essere uccisi, infine l'assassino decide di rapire la piccola nipotina di Arnò per obbligarli ad interrompere le indagini.

 

Finale a sorpresa, come da buon copione giallo anni '70.

 

Cosa rende ostico all'inizio (almeno per me) questo film? Forse le motivazioni degli omicidi non sono troppo morbose, troppo forzate nel cercare un argomento originale, che oggi pare davvero improbabile. Per quanto mi riguarda è questo il principale motivo che mi ha portato ad amare poco il secondo film di Argento quando lo vidi la prima volta.

 

In seguito ho apprezzato molto le cose che potevano apparire scontate ad una visione superficiale.

 

La scelta della città in cui si svolge: Torino.

Dario Argento aveva sempre avuto nella testa di girare un film a Torino, che aveva visitato insieme al padre molti anni prima. Il fascino misterioso della capitale piemontese aveva fatto colpo sulla giovane mente di Argento che sperava di poter girare tra le strade di quella “seducente” città il suo primo film. Purtroppo per un problema di costi Argento ha dovuto aspettare di girare un secondo film (dopo che il primo “L'uccello dalle piume di cristallo” aveva avuto un enorme successo) per potersi permettere di lavorare fuori Roma, con un intero cast in trasferta.

Questa scelta coraggiosa mostra la capacità del regista romano non solo di saper cogliere le opportunità che una città all'epoca poco considerata per il cinema offrisse, ma anche di avere una lucidità unica nel costruire scene di azione e inseguimenti. Amò talmente tanto Torino che ci è tornato più volte negli anni per ambientarci alcuni dei suoi film più riusciti.

 

“Ho visto qualche cosa che mi sfugge, ma che so essere importante”.

In questo caso essendo il protagonista un non vedente, è quello che è stato udito ad essere importante, ma non fondamentale. Lo stralcio di conversazione che Arnò sente casualmente non è fondamentale per capire chi sia l'assassino, ma è l'indizio principale dal quale partono le indagini dei due improvvisati detective. Dario Argento però, anche se modificando il senso da quello visivo a quello uditivo, non lascia la tradizione del “giallo all'italiana” (cominciato proprio con il suo maestro e amico Mario Bava), che vuole che sia un particolare insignificante visto (o udito) involontariamente dal protagonista, ad essere la chiave di svolta della storia.

 

Citazioni e omaggi.

Dario Argento è da sempre un grande ammiratore di Alfred Hitchcock, in questo film lo omaggia con una delle scene più riuscite, quella del latte.

Giordani, dopo aver fatto l'amore con Anna Terzi, le offre un bicchiere di latte. Il bicchiere di latte (forse avvelenato?) viene inquadrato in primo piano proprio come la celebre scena del film “Il sospetto”.

Altro omaggio al maestro britannico è in un'altra scena, dove viene mostrata una tenda della doccia dietro alla quale si nasconde l'assassino pronto a uccidere (una delle scene più paurose di tutto il film che cita ovviamente “Psyco”-1960).

Catherine Spaak

Il gatto a nove code (1971): Catherine Spaak

Curiosità.

Nella scena del cimitero, quando Arnò e Giordani si improvvisano “profanatori di tombe” per andare alla ricerca di un medaglione importante per le indagini rimasto all'interno di una bara, i due passano davanti ad una lapide in primo piano con su scritto “DI-DARIO”, quasi una firma di proprietà del giovane regista romano.

 

Scene forti.

In questo film Dario Argento dimostra di non scherzare, ci sono scene al limite dello splatter, quando lo splatter ancora non esisteva. Una su tutte la testa schiacciata dal treno, mostrata in primo piano al rallentatore, dopo una lunga scena di pathos. Immediatamente dopo viene mostrata una sequenza spiritosa. Humor e Horror vanno sempre a braccetto nei film di Dario Argento.

Tutti gli omicidi di questo film sono molto curati e particolareggiati. I primi piani delle vittime mentre agonizzano e urlano sono dei veri colpi allo stomaco per lo spettatore. La scena dell'uccisione del fotografo e di Bianca rimangono a oggi tra le sequenze più di effetto di un certo genere di cinema. Dario Argento risulta sicuro e senza incertezze mostra il dolore e la paura senza nessun filtro.

 

Comunità gay.

Siamo negli anni '70, quando nei film si potevano sentire battute tipo “ricchione e finocchio” senza risultare politically scorret. Dario Argento ha molti amici omosessuali, e in tutti i suoi film non mancano personaggi dichiaratamente tali. Non risultano mai però delle macchiette, anzi sono spesso simpatici piuttosto che inquietanti (come nel caso di questo film), ma mai ridicoli. Anche in questo caso mostra una sensibilità non del tutto scontata per quei tempi, quando solitamente il personaggio omosessuale veniva inserito nelle commedie o in caso contrario per dar colore alla storia. Nei film di Dario Argento hanno sempre un loro perché e quasi mai di secondo piano, anche se con poche battute rivelano particolari importanti. (Il discorso meriterebbe un post a parte, chissà che non venga fuori).

Un film che a distanza di tempo mi ha conquistata, lo consiglio a chi non l'ha mai visto, ma lo consiglio anche a chi lo ha visto più volte.

 

 

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