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La gatta sul tetto che scotta

Regia di Richard Brooks vedi scheda film

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La recensione su La gatta sul tetto che scotta

di alan smithee
8 stelle

-"Io sono un indegno: solo quando sono ubriaco riesco a sopportarmi". -"Non puoi vivere nei sogni illusori dell'alcol! Gli eroi veri vivono 24 ore al giorno e non solo il tempo di una partita!!" .... -"Io ho il coraggio di morire. Quello che voglio vedere è se tu hai il coraggio di vivere!"

Brick è stato un campione di football, ma ora è un alcolista frustrato e senza più alcun interesse al di fuori della bottiglia: la morte del suo adorato amico di squadra Skipper, suicida in circostanze poco chiare, lo ha distrutto, allontanato affettivamente dalla bellissima moglie Maggie (soprannominata "la gatta" dalle rivali invidiose, e dagli uomini che si arrendono dinanzi alla sua bellezza senza eguali), con la quale vive un rapporto contraddittorio e senza possibilità di poter assicurare una continuazione alla sua futura dinastia.

Il giorno in cui i due si ritrovano nella magione del ricco padre di lui, agiato ed autoritario proprietario terriero del Sud appena dimesso dall'ospedale per seri accertamenti diagnostici, lui con una gamba rotta per una bravata da ubriaco della sera prima, lei sempre più frustrata ed imbarazzata, i due devono sopravvivere alla presenza insidiosa del fratello maggiore di lui, la di lui ruffiana e bruttina consorte, ed i tremendi cinque nanetti senza collo che la coppia ha disinvoltamente dato alla luce in rassegna pressoché senza tregua.

In quella notte cruciale, tutta ripicche, svelamenti, e congetture sulle sorti dell'ingente eredità a seguito della conclamata - ma ancora tenuta nascosta all'interessato e alla di lui consorte - malattia senza soluzione che lo condannerà ad una fine imminente, si giocheranno i destini non tanto materiali, quanto piuttosto morali e dignitari di una famiglia allo sfacelo, per troppo tempo sopravvissuta allo sferzare dei venti ostili sottacendo i propri crucci, o annegandoli nell'alcol come ha scelto di fare Brick.

Vent'anni prima della saga familiare "sudista" televisiva dei petrolieri più inquieti del Texas, ovvero il leggendario "Dallas", Richard Brooks porta magistralmente sul grande schermo una sceneggiatura da lui stesso rielaborata sulla base del bel testo di Tennesee Williams, epurato per l'occasione - almeno formalmente, anche se le allusioni non possono che rivelarsi evidenti - da ogni sfumatura omosessuale inerente il contraddittorio e solo parzialmente raccontato per rimandi rapporto tra il protagonista Brick, ed il defunto suicida amico del cuore Skipper. 

Ne deriva un confronto esistenziale spietato tra il protagonista - che non sa vivere, e il suo tenace e fiero padre - che invece non sa, o meglio non accetta su due piedi di morire; quello tra due famiglie in antitesi, opposte per gradevolezza fisica, così come per impostazione e produzione di prole.

Un confronto generazionale e una rivalità nella gestione del patrimonio che finisce per infangare anche la bella, irresistibile ma di fatto sbagliata ed assai poco compatibile coppia protagonista, che se ne infischia dei soldi, troppo presa com'è a comprendere da un lato il vero nesso per cui vale ancora la pena vivere (lui), e dall'altro se è ancora possibile sperare di amare ed essere amata dal proprio uomo (lei).

Scenografie sontuose, un colore sfavillante che mette ben in risalto gli occhi cerulei di Paul Newman, così come quelli viola di Liz Taylor, entrambi meravigliosi e di una bellezza tale da incutere soggezione.

Gran prova anche per il corpulento Burl Ives, attore ma anche cantautore, scelto molto opportunamente per interpretare il ruolo di "big daddy" Harvey Pollitt.

Brooks gira con gran mestiere, ed il film si conferma un classico condensato di nevrosi in grado di appassionare e tener attaccati allo schermo dall'inizio alla fine, acuendo in noi spettatori quel sentimento di nostalgia nei confronti della grande Hollywood almeno apparentemente immortale e scintillante dei tempi divistici ormai irrimediabilmente andati.

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