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Gummo

Regia di Harmony Korine vedi scheda film

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La recensione su Gummo

di cheftony
9 stelle

“Life is beautiful. Really it is. Full of beauty and illusions. Life is great. Without it, you’d be dead.”

 

 

Xenia, Ohio: Tummler (Nick Sutton) e Solomon (Jacob Reynolds), adolescenti disagiati di una cittadina demolita da un tornado, cacciano e uccidono gatti randagi per rivenderli ad un droghiere, che a sua volta li macella per rifornire il ristorante cinese di zona. Con i soldi che ricavano, comprano colla da sniffare o si assicurano prestazioni sessuali di una ragazza dolce, ritardata e sovrappeso, fatta prostituire da un non ben precisato parente.
A possedere un gatto nero, invece, sono tre sorelle, di cui Dot (Chloë Sevigny) è la maggiore; le due ragazze più grandi passano le loro giornate a tenere a bada il felino, a mettersi nastro adesivo nero sui capezzoli per tonificarli e a saltare sui loro letti.
Bunny Boy (Jacob Sewell) è un altro ragazzino di Xenia, che non parla e vaga per la città a petto nudo, sfoggiando un ridicolo copricapo rosa a forma di orecchie di coniglio.
Quando Tummler e Solomon scoprono che un altro ragazzino fa loro concorrenza, lo rintracciano e scoprono molte cose interessanti sul suo conto…

 

Werner Herzog: “What I like about «Gummo» are the details that one might not notice at first. There's the scene where the kid in the bathtub drops his chocolate bar into the dirty water and just behind him there's a piece of fried bacon stuck to the wall with Scotch tape. This is the entertainment of the future.”
Harmony Korine: “It's the greatest entertainment. Seriously, all I want to see is pieces of fried bacon taped on walls, because most films just don't do that.”

 

 

Se nel 1974 un devastante tornado - parte del cosiddetto 1974 Super Outbreak - si è veramente abbattuto sulla cittadina di Xenia, nel 1997 il cataclisma che sembrava piombare sul cinema mondiale prendeva il bizzarro nome di Harmony Korine, 24enne all’esordio registico con “Gummo”. Subito massacrato dalla critica statunitense e castrato perfino nella distribuzione, si è comunque fatto notare anche alla Settimana Internazionale della Critica (la sezione parallela del Festival di Venezia), dove il film venne presentato fra le sterili proteste delle associazioni animaliste. Nonostante autori del calibro di Gus Van Sant e Werner Herzog si fossero invaghiti all’istante del piccolo e sregolato genio di Korine, critica e pubblico si sono scandalizzati per i temi affrontati (adolescenza, degrado, abusi su animali e persone, vandalismo, prostituzione, disabilità, ritardo mentale), nonché per l’impiego peculiare di attrici con la sindrome di Down o albine; tutto questo nonostante Korine, sì controverso ma (quasi) mai banale provocatore in cerca della ribalta, abbia rigettato con fermezza ogni accusa di exploitation.
Divenuto col tempo un film di culto, “Gummo” prende il titolo in prestito dal nome del quinto fratello Marx, uscito anzitempo dal vaudeville (genere centrale nella formazione e nell’opera di Korine) per partecipare alla Prima Guerra Mondiale e poi buttarsi sul commercio di impermeabili. C'entra qualcosa col film? Assolutamente niente, non viene nemmeno menzionato.

 

 

Il giovane Harmony non è interessato alla narrativa classica, quanto piuttosto ad un tipo di cinema in cui le immagini arrivino da ogni direzione: qui compone un collage di singole scene, da lui immaginate o improvvisate pensando alla cittadina di Xenia (senza mai averla visitata) e ambientandole nei sobborghi di Nashville, in Tennessee, teatro della sua infanzia. Il tornado ha scoperchiato le case, scaraventato cani sopra i tetti, ucciso delle persone. Ciò che rimane è l’essenza nuda dell’America nascosta, che non si vuol (far) vedere, che disgusta e respinge. Korine esplora diversi formati, dal classico 35mm al Super 8, per costruire e assemblare le sue scene, in costante bilico fra apparente inverosimiglianza e credibilità dello squallore. Il contributo del cast, composto quasi del tutto da attori non professionisti dai volti deformi, scalfiti e afasici, contribuisce enormemente all’estetica che Korine andava ricercando. Ha un ruolo preponderante anche la colonna sonora, dove la fanno da padrone sottogeneri fra i più estremi del metal (black e death su tutti) e il doom/stoner degli Sleep con quel capolavoro di “Dragonaut”.
Ad ogni modo, non c’è traccia di amatorialità in “Gummo”: Korine si era già fatto un nome con la sceneggiatura di “Kids” e ha potuto contare su un nome affermato come quello di Jean-Yves Escoffier in veste di direttore della fotografia, che dà un grande apporto ai propositi da pazzoide dell’enfant terrible. Per incasellare un minimo il suo lavoro sono stati fatti i nomi di Fassbinder e Cassavetes, registi peraltro molto apprezzati da Korine, ma è stata tirata in ballo anche l’opera freakish della fotografa Diane Arbus. In realtà Harmony mette in scena quello che lui stesso vuole vedere: non ha importanza che l’ipotetico pubblico gradisca o meno vedere il summenzionato bacon appiccicato col nastro alla parete del bagno, oppure un cameo del regista completamente ubriaco con un nano di colore e gay. Checché se ne possa pensare, giova citare lo stesso Korine: “It’s a new kind of movie”. Che, a suo modo, ha già fatto storia in appena vent’anni, senza compromesso alcuno.

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