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La terra dei morti viventi

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su La terra dei morti viventi

di FilmTv Rivista
8 stelle

C’è una biondina energica con un berrettino rosso alla guida di un truck supercorazzato che sembra il ritratto di Amy Madigan in Strade di fuoco di Walter Hill. E il truck stesso e i tempi dei suoi inseguimenti-assedi-scontri frontali, che ricordano da vicino il treno blindato di Fantasmi da Marte di Carpenter (che secondo alcuni omaggiava proprio il ciclo zombi di Romero). C’è una città di uomini, dove un grattacielo-centro commerciale-isola soft per ricchi è circondato da oscuri bassifondi di miseria e violenza, che pare una sezione radicalizzata della Los Angeles di Blade Runner. E c’è una comunità di zombi che assedia la città, che emerge dal nebbioso fossato circostante e dagli anfratti scavati nelle reti di protezione, che preme lenta e vorace, «alla ricerca di un posto dove andare», come dice in una delle ultime battute il protagonista umano, un mercenario come tanti, che forse ha più in comune con gli zombi che con i wasp che popolano il grattacielo Fiddler’s Green. Il capo degli zombi, un solenne nero con gli occhi azzurri (che discende forse da quell’unico superstite del primo film del ciclo, La notte dei morti viventi, ucciso a fucilate da uno stolido poliziotto bianco), porta con sé creature non morte ancora segnate da quella che era la loro vita umana: una majorette con mezza faccia smangiata, un anziano arzillo con la giacchetta a righe e la paglietta, una varietà assortita di operai, casalinghe, blue collar. La terra dei morti viventi, quarta parte della saga zombi che George Romero dipana dal 1969, è un film che ha interiorizzato tutta l’evoluzione del new horror, che non ha ceduto al fascino bifronte, al potere sovrumano e meccanico concesso dallo sviluppo degli effetti speciali, e che crede ancora che lo spirito e le idee siano più forti delle cose. Che le città siano di tutti e che le superprotezioni e l’isolazionismo di classe (oltre che espugnabilissimi) siano antistorici. Dietro gli assalti reciproci, le rapide carneficine e i lenti agguati, Romero tesse come sempre una rete di riferimenti teorici, restituendo all’horror la sua valenza inquieta e problematica. Non importa sapere chi siano gli zombi e chi gli umani miserabili che vivono ai piedi di Fiddler’s Green; di certo il magnate-padrone interpretato con humour satanico da Dennis Hopper è un gran bastardo, e il suo grattacielo blindato è una negazione del mondo che avanza. Forse, per gli umani che hanno ancora cervello e cuore è davvero meglio andare al nord, verso territori più liberi, fatti di alberi e acqua.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 29 del 2005

Autore: Emanuela Martini

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